1964 | La Salita | Giulio Paolini

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La Salita

 

La salita è quella di San Sebastianello che da Piazza di Spagna si inerpica al Pincio. Con questo nome, in un locale che si affaccia al piano della strada, al numero civico 16 / C, Gian Tomaso Liverani il 23 febbraio del 1957 aprì la sua galleria. Quella di esordio fu una mostra prudente - come in seguito non ne avrebbe quasi mai più fatte - una collettiva con venti nomi - tra gli altri quelli di Pietro Consagra, Leoncillo, Titina Maselli, Piero Sadun, Antonio Scordia - scelti sotto l’egida di Lionello Venturi e introdotti in catalogo dal suo allievo Valentino Martinelli.

 

Il gallerista è un uomo di trentotto anni, discendente di una nobile famiglia faentina. Era stato ufficiale di cavalleria e, nel rispetto della volontà paterna, si era laureato in Giurisprudenza e poi in Scienze Agrarie. Trasferitosi a Roma e impiegatosi alla FAO, aprì la galleria subito dopo la morte del padre.

 

La Salita, è cosa nota, venne da subito riconosciuta, insieme a La Tartaruga, come la vetrina più prestigiosa per l’arte contemporanea a Roma.

Quasi trent’anni di attività, distribuiti in tre diverse sedi - dopo San Sebastianello, via Gregoriana 5 (1967-1971) e Via Garibaldi 86 (dicembre 1971-1986) – che sarà lo stesso Liverani, giunto il momento dei bilanci poco prima di chiudere, a volerne ripercorrere la storia attraverso una serie di mostre intitolate “Il disegno dell’arte” ordinate con la collaborazione di Simonetta Lux.

 

Quale disegno tracciò la sua galleria? È lecito affermare che esso coincida a perfezione con quello tracciato dalla storia dell’arte.

Del tutto autonomo nelle sue scelte, Liverani si accorse del nuovo prima che questo venisse accreditato e nella maggioranza dei casi anticipò artisti e attitudini che si sarebbero in seguito affermati (che egli stesso contribuì a far emergere). A lui spetta il primato del maggior numero di prime mostre personali, basta annoverarle per avere conferma del suo intuito e del suo coraggio: Ettore Sordini (1959), Franco Angeli (1960), Tano Festa (1961), Titone (1964), Carlo Battaglia (1964), Giulio Paolini (1964), Ettore Innocente (1965), Teodosio Magnoni (1965), Francesco Ravizza (1966), Richard Serra (1966), Maurizio Mochetti (1968), Franco Gozzano (1970), Vettor Pisani (1970), Alberto Abate (1977), Antonio Capaccio (1983).

 

Diede credito agli artisti, senza sposare il loro modo di vivere. La tradizione orale lo accusa di non aver prodotto economia. Fu generoso in altro modo. Ad esempio intessendo, pratica inusuale all’epoca, rapporti con figure istituzionali al fine di promuovere all’estero l’arte italiana. Come quando nel 1959 si fece promotore della mostra “Italian Painting Today” itinerante in Giappone, presentata da Giulio Carlo Argan, Palma Bucarelli e dal critico d’arte giapponese Sōichi Tominaga.

Molte sono le firme autorevoli che compaiono nei cataloghi della sua galleria, nello sforzo si direbbe, di dare corpo a un tessuto: inizialmente affermati storici dell’arte spesso docenti universitari, oltre a Venturi, Martinelli e Argan, Marco Valsecchi, Franco Russoli, Enrico Crispolti, Nello Ponente, Ermanno Migliorini, Giovanni Carandente; autori di mordenti teorie, l’Art Autre di Michel Tapié e il Nouveau Réalisme di Pierre Restany; geniali indipendenti, Cesare Vivaldi ed Emilio Villa. Nel corso degli anni Settanta, il rapporto tra la critica d’arte e gli artisti mutò e la sparizione di quest’ultima dall’attività de La Salita registrò con tempismo il cambiamento avvenuto. Il dialogo riprese poi nel decennio successivo soprattutto con Simonetta Lux e Fulvio Abbate.

 

Tra il 1957 e il 1960 i nomi più ricorrenti nell’attività della galleria sono le punte di diamante della nuova arte non figurativa italiana: Gastone Novelli, Carla Accardi, Bice Lazzari - ben due donne in questa prima “scuderia” di Liverani che sembra non aver mai discriminato la presenza femminile - Toti Scialoja, Alberto Burri, Ettore Colla, Mimmo Rotella, Antonio Sanfilippo, Giulio Turcato. Alcune delle loro mostre colpiscono anche per il modo in cui le opere sono presentate: quella di Carla Accardi del 1958 con i quadri appesi ad altezze diverse disseminati sull’intera parete o quella di Alberto Burri con soli tre grandi lavori.

 

Nei primi anni Sessanta, in galleria continuarono a tenersi le mostre di Scialoja, Accardi, Rotella e Colla, ma in breve la programmazione venne saturata da una nuova generazione di artisti. Con qualche anticipazione nelle collettive nel 1959, questa si manifestò con la celebre mostra “Roma 60. Cinque pittori. Angeli, Festa, Lo Savio, Schifano, Uncini” aperta nel novembre del 1960 (dopo due precedenti tappe). L’occasione, tanto più interessante per questo motivo, segnò un passaggio. Si trattò di un atto di rottura e di fondazione al tempo stesso: le opere esposte sono superfici monocrome dove tenacemente permangono i valori della pittura (luce) e della materia, a partire dalle quali gli artisti presto formularono, ciascuno in maniera differente, nuove immagini.

 

Tra gli artisti della nuova generazione, il nome de La Salita è associato soprattutto a Francesco Lo Savio, ma molti altri furono quelli che comparvero in galleria, alcuni solo per il tempo di una mostra, e che nel loro insieme disegnarono una mappa piuttosto estesa delle tensioni del tempo: oltre ad Angeli e Festa, Fabio Mauri, Christo (in occasione della mostra a La Salita realizzò uno dei suoi primi impacchettamenti su una statua di Villa Borghese), Ettore Sordini, Piero Sadun, Nanda Vigo, Aldo Mondino (nella personale del 1964 i visitatori erano invitati a completare i quadri colorandoli con le matite), Giulio Paolini, Marcia Hafif, Carlo Lorenzetti, Ettore Innocente, Teodosio Magnoni, Sergio Lombardo, Gianni Colombo, Richard Serra (espose alcuni animali impagliati e un maiale vivo che procurò al gallerista una denuncia per la detenzione di merci non contemplate dalla sua licenza, a difenderlo in tribunale andarono Argan e Bucarelli), Luciano Fabro, Maurizio Mochetti, senza tralasciare la pratica dei gruppi in quegli anni rivitalizzata, Gruppo T, Gruppo 0 e Gruppo MID.

 

Liverani si concesse anche qualche divertissement, più arguto e incisivo di quanto non appaia al primo sguardo, come quello di declinare la tipica mostra natalizia nella richiesta rivolta agli artisti di realizzare un “Oggetto utile: sedia, piatto, letto, armadio, specchio, candelabro, stipo, poltrona, scatola, vaso, fornello, tavolo, scala, ecc.” (1962-1963), oppure offrire “200 articoli a un prezzo straordinario” in una mostra intitolata “La Salita grande vendita” allestita come un supermercato con tanto di cassa chiesta in prestito alla Standa (nota catena italiana di grandi magazzini) (1964-1965). Erano quelli gli anni del rovello sul rapporto tra oggetto e opera d’arte e del trionfo dell’arte americana culminato con la Biennale di Venezia del 1964. Forse proprio in dialogo con gli sforzi degli artisti italiani di definire la propria identità, arginando un’arte sostenuta dall’economia che era allora la più potente del mondo e che pure li aveva affascinati, Liverani inventò nell’estate del 1965 la “Mostra a soggetto. Corradino di Svevia”. Chiese agli artisti di realizzare un’opera sullo sfortunato giovinetto catturato nel 1265 a Torre Astura dove le opere sarebbero state esposte. Lì Pino Pascali officiò una sorta di rito funebre segnando la data di nascita della performance italiana e in generale si consolidò la convivenza tra arte contemporanea e le vestigia del passato.

 

Gli anni Settanta videro la galleria trasformarsi in una sorta di laboratorio, messo a disposizione degli artisti da un Liverani, si ha oggi la sensazione, predisposto ad accogliere ogni più inaspettata opera d’arte, mettendo da parte qualsiasi filtro se non quello del suo intuito. Diversi furono gli accadimenti memorabili: Progetto di avvelenamento di Sergio Lombardo, Pisani in dialogo ideale con Duchamp; Ebrea di Fabio Mauri; Jannis Kounellis negli ambienti oscurati della galleria seduto al tavolo con sparsi i frammenti di gesso di una statua classica di Apollo, la maschera divina sovrapposta al suo volto, il corvo nero impagliato e la musica dal vivo di Mozart; Essere e respirare di Eliseo Mattiacci; le personali di Franco Gozzano, Alighiero Giuseppetti, Ernesto Tatafiore, Roberto Barni; la collettiva “Ghenos Eros e Thanatos” ordinata da Alberto Boatto che segnò il cambio di passo dell’arte italiana nella direzione di un nuovo modo di intendere l’avanguardia includente la storia e le passioni. Assidua fu la presenza di una nuova generazione di artisti, Sandro Chia, Ferruccio De Filippi, Gianfranco Notargiacomo, che nell’arco di numerose mostre succedutesi a ritmo serrato, sperimentarono un’arte concettuale densa di rimandi antropologici e linguistici per approdare, sempre tra le mura de La Salita, a un rinnovato impiego del disegno, della pittura e della scultura. Numerose furono anche le mostre a quattro mani di Carlo Maurizio Benveduti e di Tullio Catalano, animatori dell’Ufficio per la immaginazione preventiva, gruppo situazionista impegnato nella diffusione capillare dell’arte e fondato sulla convinzione che il discorso estetico sia rivoluzionario.

 

Punto di incontro di una nuova generazione di artisti, nella prima metà degli anni Ottanta la galleria vide la presenza di altri autori, alcuni approdati da un’iniziale comune esperienza autogestita come Felice Levini, Mariano Rossano, Antonio Capaccio.

 

Liverani è stato anche editore d’arte. Ha commissionato multipli e stampe a molteplici artisti lungo l’intero arco della sua attività. Il suo catalogo annovera alcune sculture, le cartelle monografiche degli anni Sessanta, la più nota quella intitolata La Litografia introdotta da Argan con opere di Accardi, Colla, Dorazio, Festa, Fontana, Lo Savio, Rotella, Schifano, i libri d’artista della Collana di Perle di Sandro Chia, Ferruccio De Filippi, Gianfranco Notargiacomo e Jannis Kounellis, numerose singole litografie sempre stampate nella antica litografia romana di Roberto Bulla.

 

(Daniela Lancioni)

 


  

Giulio Paolini

Galleria La Salita

dal 31ottobre 1964

 

Giulio Paolini stava per compiere ventiquattro anni quando il 31 ottobre del 1964 inaugura la sua prima mostra personale nella Galleria La Salita di Roma.

Era nato a Genova e risiedeva a Torino dove si era trasferito con la famiglia ancora adolescente.

La catena di eventi che lo portarono a tenere la sua prima mostra personale a Roma l’ha ricostruita Maddalena Disch nella biografia dell’artista (Catalogo ragionato, Milano 2008): “All’inizio del 1963 a Roma incontra Guido Montana, direttore della rivista ‘Arte Oggi’ (…) che lo mette in relazione con il mondo artistico romano. Conosce Plinio De Martiis, direttore della Galleria La Tartaruga, al quale presenta un progetto per una mostra personale, rimasta però irrealizzata (Ipotesi per una mostra, 1963). Nel giugno del 1964 si reca per la prima volta alla Biennale di Venezia (…) dove conosce Carla Accardi e alcuni artisti vicini a De Martiis esposti al Padiglione Italia: Franco Angeli, Tano Festa, Giosetta Fioroni, Mario Schifano. Tramite Aldo Mondino incontra Gian Tomaso Liverani, titolare della galleria romana La Salita, che lo invita a realizzare la sua prima mostra personale”.

 

Nell’ottobre del 1964 Paolini aveva al suo attivo due sole esposizioni collettive. Sono entrambe rassegne a premi che all’epoca offrivano la principale occasione di visibilità agli artisti esordienti.

Nel 1961 alla giuria del “XII Premio Lissone internazionale per la pittura” aveva sottoposto un telaio al cui interno è sospesa una tela bianca che altro non mostra se non la sua preparazione a gesso (inizialmente aveva pensato di inviare un’opera simile con un barattolo di vernice al posto della tela).

Erano già chiari i termini del suo rovello, non voler depositare la sua esperienza in una immagine, ma rimanere in mezzo a questi telai, a questi barattoli di vernice e di servirsene, come dichiarerà poco dopo a Carla Lonzi, per non arrivare a un risultato ma per dar vita a un modello anche umilmente costruito, con mezzi che non abbiano la pretesa di essere significanti.

 

Della sua prima mostra personale si conoscono due sole immagini fotografiche (non attribuibili ad alcun fotografo). Quella dove compare una giovane donna è stata probabilmente scattata il giorno dell’inaugurazione. Alle sue spalle si vede, addossato alla parete e poggiato a terra, il lavoro conservato oggi nelle collezioni del MAXXI. Nell’altra foto si vedono l’opera oggi in deposito al MASI di Lugano e quella della collezione milanese. Leggermente anacronistica è l’illuminazione della galleria (destinata a cambiare di lì a breve) con le lampade a braccetto snodabile e la luce a cono da indirizzare sulle immagini appese alle pareti. Ma nessuna immagine solca le superfici di compensato che Paolini ha dislocato negli ambienti de La Salita e che ai visitatori dovettero dare l’impressione di essere arrivati in galleria quando la mostra non era stata ancora finita di montare, con alcune opere già appese alle pareti, ma altre, ancora in attesa di collocazione, appoggiate al muro, oppure, come talvolta accade (fuori dai musei), addossate le une alle altre.

 

Così l’artista ha definito la mostra a La Salita in un testo pubblicato per la prima volta nel 1971: “Una mostra che dà l’impressione di un’esposizione in allestimento: alcuni pannelli in legno grezzo (accostati o sovrapposti l’uno all’altro, appoggiati alla parete) ‘sostituiscono’ la presenza dei quadri e analizzano i puri rapporti convenzionali di un’esposizione”.

 

La mostra de La Salita viene ora rievocata al Palazzo delle Esposizioni grazie alla disponibilità di Giulio Paolini che ne ha progettato il nuovo assetto. La riproposta non ignora la coscienza del tempo trascorso, la sedimentata identità di ogni singolo lavoro e il nuovo spazio nel quale l’insieme si trova a dialogare.

I lavori disposti lungo le pareti sono la quasi totalità di quelli esposti a La Salita nel 1964. Dell’insieme originale mancano due opere in seguito smembrate, mentre il lavoro conservato nella Collezione Goetz a Monaco, il cui prestito non è stato accordato per motivi di conservazione, è sostituito da un’opera affine del 1964 nella quale al centro di una tavola verticale è ugualmente sospeso, mediante un filo di nylon, un elemento dello stesso materiale più piccolo ma proporzionato a quello al quale è addossato. Una integrazione voluta dall’artista è la tavola di compensato rivestito di laminato plastico sulla quale ricade un gancio sospeso a un filo di nylon.

 

Nella mostra a La Salita Paolini esibì gli strumenti del fare arte come era accaduto nelle sue opere precedenti: il foglio da disegno che si intravede sul verso di un’opera o le tavole di compensato o masonite, materiale largamente impiegato all’epoca a supporto della pittura (come dimostrano – per una fatale coincidenza – le opere di Titina Maselli qui esposte nella sala accanto). Ma il progetto per La Salita (e ora che la conoscenza dell’artista si è sedimentata, ogni singolo lavoro che ne faceva parte) si pone anche come modello di esposizione sulle cui dinamiche l’artista, al tempo stesso, si interroga. Ne sono un indizio i ganci e i fili che compaiono nelle opere, gli stessi che si usavano per esporre i quadri, la collocazione sul verso di elementi non visibili sul recto, i rapporti tra i diversi elementi addossati o la presenza delle superfici non lavorate che l’artista identifica come pareti sulle quali manca il quadro. Anche con il biglietto di invito Paolini compie un atto di sottrazione finalizzato a ridefinire i termini della questione. Predispone, infatti, un cartoncino da disegno nel quale in alto a destra le consuete informazioni - Giulio Paolini 31 ottobre 1964 / Galleria La Salita Roma Via / San Sebastianello 16 c telefono / 672841 - sono scritte a secco e pertanto invisibili (se non illuminando il foglio con una luce radente). Il foglio ripiegato in quattro conteneva al suo interno l’immagine sciolta di una delle opere in mostra.

 

La mostra a La Salita ebbe per Paolini interessanti conseguenze. Venne visitata da Carla Lonzi e Marisa Volpi delle quali l’artista divenne amico stringendo con loro un sodalizio anche professionale.  In quella occasione, inoltre, vendette per la prima volta un suo lavoro, ad acquistarlo fu Corrado Levi, collezionista e poliedrico intellettuale torinese che ancora lo possiede e generosamente lo ha prestato per l’attuale ricostruzione.

 

Conclusasi la mostra di Paolini, a La Salita si inaugurò una personale di Marcia Hafif e subito dopo, il 19 dicembre del 1964, aprì una di quelle mostre natalizie che i galleristi organizzavano con la speranza di dirottare su opere d’arte a prezzi accessibili la scelta dei regali di rito.

Nell’anno dell’exploit della Pop Art alla Biennale di Venezia, Liverani espose le opere appositamente commissionate agli artisti, avvalendosi della collaborazione di una catena di grandi magazzini, La Standa che “ha gentilmente curato l’allestimento completo dei banchi di vendita” (dall’invito) prestando persino, nel ricordo del gallerista, un registratore di cassa. Nel manifesto di invito la mostra viene pubblicizzata con il linguaggio adottato nella promozione dei prodotti di massa: “12 giorni a La Salita. 200 articoli speciali a un prezzo straordinario!”.

Fu quella l’occasione offerta a Paolini per mettere in mostra e interrogare anche le dinamiche del mercato.

Nel manifestino della mostra il suo lavoro è reclamizzato come “BUSTE con sorpresa” e marcato con il prezzo di mille lire. Gli acquirenti ricevevano in cambio una busta con dentro un cartoncino ripiegato in quattro, simile a quello utilizzato per l’invito della sua precedente esposizione, dentro al quale trovavano altre mille lire, lo stesso importo versato per l’acquisto dell’opera.

 

Per assonanza con i lavori esposti alla sua prima mostra personale, Giulio Paolini ha pensato di inserire al centro della sala al Palazzo delle Esposizioni tre Disegni del 1964. Fanno parte di una serie di opere anch’esse costituite da un cartoncino ripiegato in quattro, ciascuno contenete un diverso oggetto: un foglio con la firma dell’autore, tre tubetti di colore, una spatola sporca di colore, una matita, un foglio accartocciato, una pagina a stampa con la rappresentazione degli enti geometrici
 
(Daniela Lancioni)

 

Ringraziamo Giulio Paolini che ha accettato il nostro invito a ripensare alla sua prima mostra personale disponendone le opere qui al Palazzo delle Esposizioni.

Un sentito ringraziamento a Maddalena Disch per aver condiviso le schede inedite da lei redatte per la Fondazione Giulio e Anna Paolini.