2004 | Volume! | Myriam Laplante

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Volume!

 

L’attività di Volume! s’inaugura il 29 novembre 1997 con una mostra di Alfredo Pirri, Jannis Kounellis e Bernard Rüdiger. L’associazione culturale, che si trasformerà in fondazione nel 2006, ha la sua sede nel quartiere Trastevere, accanto al carcere di Regina Coeli, nelle cinque stanze del piano terra di un edificio del XVII secolo al numero 88 di via San Francesco di Sales, nei locali di un’ex vetreria.

 

Il suo ideatore e promotore è Francesco Nucci, un neurochirurgo, collezionista e sostenitore dell’arte contemporanea, passione che divide da sempre con la moglie Daniela, figura cardine di Volume!. Intorno a loro si raccoglie presto un piccolo gruppo che appoggia l’iniziativa: Alfredo Pirri, Jannis Kounellis, Bernard Rüdigher, Pietro Montani, Nicola di Battista, Franco Mancinelli. Nucci vuole sin dall’inizio che Volume! sia un luogo in cui gli artisti possano realizzare le loro idee e i loro progetti senza nessun vincolo di spazio e di risorse, “un luogo di totale libertà”, “svincolato dall’oppressiva macchina economica”, uno spazio che sia come “un foglio di carta sul quale riversare ciò che si prova”.

 

Animato da questa intenzione di fondo, Volume! si è configurato nei suoi ventidue anni di attività, dal 1997 a oggi, come un “ambiente” aperto e duttile, con cui artisti italiani e internazionali si sono di volta in volta confrontati. La caratteristica di invitare gli artisti a ideare un lavoro in stretta relazione con lo spazio a disposizione ha reso Volume! un luogo unico nel panorama espositivo romano. Nel 1997, in occasione della mostra di apertura, Alfredo Pirri è intervenuto nelle stanze di Volume! creando un percorso di discensione e ascensione lungo i diversi ambienti, costruendo percorsi dal basso all’alto, dal buio alla luce. In una delle stanze ha scavato il pavimento portando alla luce le stratificazioni profonde del terreno, in un’altra ha costruito un ponte di cemento sollevato da terra che collegava interno ed esterno. Nello stesso spazio Kounellis ha scelto un passaggio tra due stanze per collocare una donna incinta nuda seduta su uno sgabello, appena illuminata da una lampada a petrolio, mentre Rüdigher è intervenuto in una stanza costruita appositamente disponendovi all’interno una suggestiva installazione di cerchi plasmati in forex. Da quei primi interventi in avanti, i lavori ideati per Volume! sono stati un susseguirsi di processi di costruzione, distruzione, distorsione, tensione e pressione, chiusura e apertura dello spazio, che gli artisti hanno plasmato come se fosse materia modellabile.

 

La libertà concessa agli artisti nell’ideare i loro interventi negli spazi di via San Francesco di Sales è la stessa che guida da sempre Nucci nella scelta dei progetti da sostenere. Questa libertà ha determinato negli anni una stimolante varietà di indirizzi di ricerca nell’attività di Volume!, che rispecchia molto bene la natura dell’arte contemporanea, sempre più aperta agli sconfinamenti e alla coesistenza di differenze. Negli anni si sono succeduti, tra gli altri, gli interventi di Nunzio, Raimund Kummer, Gianni Dessì, Maurizio Savini, Sol LeWitt, Gilberto Zorio, Bizhan Bassiri, Piero Pizzi Cannella, Paolo Canevari, Pedro Cabrita Reis, Mimmo Paladino, Giuseppe Gallo, Annie Ratti, François Morellet, Jorge Peris, Olaf Nicolai, Marco Gastini, Giuseppe Maraniello, Marina Abramović, Felice Levini, Myriam Laplante, Marina Paris, Fabio Mauri, Flavio Favelli, Jimmie Durham, Gregorio Botta, Mahum Tevet, Michele Zaza, Gregor Schneider, Kurt Johannessen, Roi Vaara, Melati Suryodarmo, Herma e Auguste Wittstock, Ivan Navarro, Sissi, Michele De Lucchi, Thomas Lange, Ruth Proctor, Rä Di Martino, Luca Trevisani, Luca Manes, Assaf Shoshan, Paolo Icaro, Christian Boltanski, Dennis Oppenheim, Walid Raad e molti altri.

 

In alcuni casi le tracce dei diversi lavori si sono sedimentate nel tempo e gli interventi si sono sovrapposti l’uno con l’altro. In altri casi, lo spazio ha cambiato il suo aspetto in maniera radicale tra un intervento e l’altro. Stanze, porte, finestre, nicchie, tramezzi sono di volta in volta riempiti o svuotati, svelati o coperti, illuminati o oscurati, trasformando lo spazio in luoghi ogni volta diversi tra loro. Così avviene, ad esempio, nel 2007 con i lavori di Rui Chafes e Bruno Ceccobelli. Il primo costruisce un lungo tunnel di ferro che comprime lo spazio tra scure lamiere alte poco più di una persona. A questo severo e freddo camminamento, segue il doppio percorso a spirale progettato da Bruno Ceccobelli con una passerella sopraelevata su un desolato paesaggio di macerie da cui emerge un ordinato succedersi di impronte di piedi in ceramica raku, simbolo del percorso compiuto e della conoscenza acquisita.

 

Nel realizzare questi interventi gli artisti sono spesso accompagnati da curatori e critici, tra loro, Lorenzo Benedetti e Claudia Gioia, Achille Bonito Oliva, Mario Codognato, Ester Coen, Bruno Corà, Danilo Eccher, Lóránd Hegyi, Teresa Macrì, Giacomo Zaza e molti altri. Mentre fotografi, come Claudio Abate, Rodolfo Fiorenza, Marco Ciuffreda, Marco Fedele di Catrano, Claudio Martinez e Federico Ridolfi, hanno documentato ogni nuovo intervento. Testi e foto sono stati pubblicati nei cataloghi delle mostre. Volume! infatti è anche una casa editrice, che pubblica saggi, libri d’artista e edizioni d’arte, come, ad esempio, lo studio Io sono un ariano, dedicato nel 2005 alle performances di Fabio Mauri.

 

A partire dal 2000 Volume! ha esteso il suo intervento anche ad altri contesti della città, promuovendo una serie di progetti Extravolume!, con l’intento di stimolare nuove visioni attraverso inedite relazioni tra opere d’arte e spazi pubblici. Tra i progetti promossi negli ultimi anni vi sono Siderare al Forte Portuense e Parco Nomade. Quest’ultimo, curato da Achille Bonito Oliva, prevede la collaborazione tra un artista e un architetto nella realizzazione di “moduli”, simili a container, installati al Corviale nel parco della riserva naturale della Tenuta dei Massimi e poi trasportabili in qualsiasi altro luogo o ambito. Entrambe le iniziative sono pensate con l’intento di promuovere una dimensione policentrica per l’arte e di coinvolgere una comunità vasta in luoghi periferici o meno conosciuti al pubblico.

 

Dal febbraio 2019 Nucci ha avviato anche un progetto radicalmente nuovo per gli spazi di Volume! trasformandoli in laboratorio di ricerca neuroscientifica. Percezioni è il titolo del nuovo programma realizzato in collaborazione con diversi centri universitari italiani e stranieri. Per la durata di almeno un anno i visitatori sono invitati a entrare nella sede della fondazione a via San Francesco di Sales uno alla volta. Soli, senza l’ausilio di alcun mezzo per orientarsi, restano in presenza di un’opera realizzata appositamente da un artista. Durante la visita gli spettatori sono invitati a compilare un questionario anonimo sulle sensazioni e i pensieri che quest’esperienza ha suscitato in loro al fine di raccogliere informazioni da studiare e analizzare sui meccanismi cognitivi ed emotivi dell’interazione tra l’individuo e l’opera d’arte.  

 

(Paola Bonani)
 


 

The Gallery Apart

 

L’attività di The Gallery Apart inizia nel 2003 dall’incontro tra Fabrizio Del Signore e Armando Porcari. Provenienti da storie professionali differenti e accomunati da un’uguale passione per l’arte e per il collezionismo, Del Signore e Porcari decidono insieme di avviare un progetto culturale del tutto innovativo e inedito, dedicandosi ad affiancare gli artisti nella realizzazione dei loro progetti in collaborazione con istituzioni e luoghi diversi della città. Il nome scelto per questa iniziativa svela chiaramente il senso di questa iniziale e stimolante vocazione al nomadismo del progetto. The Gallery Apart è un progetto unico nel suo genere, un’attività che supporta e fornisce gli strumenti necessari agli artisti per mettere in atto progetti anche molto impegnativi, come fanno le gallerie, senza essere una vera e propria galleria. Così avviene, ad esempio, proprio con la mostra di Myriam Laplante Elisir del 2004, oggi riproposta al Palazzo delle Esposizioni, organizzata negli spazi di Volume!.

 

La prima di questa serie di iniziative, intitolate “OUTSIDE”, s’inaugura nel 2003 con una personale di Fabrizio Passarella nello Studio Andrea Gobbi di Roma, curata da Gianluca Marziani. Negli anni successivi “OUTSIDE” coinvolge un primo nucleo di artisti che espongono in altri spazi di Roma, come, ad esempio, Gea Casolaro e Andrea Aquilanti al Teatro India nel 2004 e nel 2006, Mariana Ferratto e Luana Perilli alla Fondazione Pastificio Cerere nel 2005, Alessandro Scarabello a Sala 1 nel 2005 e Myriam Laplante da Volume! nel 2004 e alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna nel 2007.

 

Nel febbraio 2008 il progetto di The Gallery Apart modifica in parte la sua fisionomia e la galleria apre la sua prima sede in Via della Barchetta 11, un ufficio con un piccolo spazio per accogliere mostre. A marzo Myriam Laplante vi presenta una selezione di suoi lavori fotografici dal 1996 al 2008.

 

Insieme al lavoro degli artisti italiani citati, a cui si aggiunge presto quello di Marco Strappato, The Gallery Apart segue da subito con interesse l’attività di una serie di artisti stranieri come Meital Katz-Minerbo, Astrid Nippoldt, Dominik Lang e Florian Neufeldt, in una commistione di immaginari e linguaggi (video, pittura, scultura, disegno e installazioni) che riflette la natura globale e la multidisciplinarietà del panorama artistico internazionale.

 

Nel dicembre 2009 la sede della galleria viene spostata in Via di Monserrato 40 e la prima mostra proposta nel nuovo spazio è la personale di Luana Perilli, intitolata Manutenzione sentimentale della macchina celibe. Nel marzo 2013 The Gallery Apart trova la sua attuale ubicazione in uno spazio più ampio a Via Francesco Negri 43, nel quartiere Ostiense in una via di fronte ai vecchi Mercati Generali. La nuova sede si apre con un impegnativo progetto, intitolato Missing Parts, di Dominik Lang curato da Lýdia Pribišová. L’artista ceco invade gli spazi della galleria creando una monumentale opera composta di moduli a rilievo che collegano i due piani in cui è suddiviso lo spazio espositivo in un dialogo stimolante e straniante tra arte e architettura.

 

L’attività della galleria prosegue ancora oggi con un programma espositivo particolarmente attento sia alla rappresentazione di una sensibilità artistica vocata all’impegno politico e sociale, grazie al coinvolgimento di importanti artisti internazionali come Bertille Bak, Oliver Ressler e il collettivo russo Chto Delat, sia al lancio di giovani talenti come Corinna Gosmaro, Rowena Harris e Sinae Yoo.

 

(Paola Bonanni)

 


 

Myriam Laplante. Elisir

a cura di Lorenzo Benedetti e Teresa Macrì

Fondazione Volume!

coprodotta da The Gallery Apart

29 novembre – 22 dicembre 2004

 

Myriam Laplante è stata invitata a ripresentare oggi al Palazzo delle Esposizioni il lavoro che aveva ideato nel 2004 per gli spazi della Fondazione Volume! a via San Francesco di Sales intitolato Elisir. Il progetto era stato organizzato dalla fondazione di Francesco Nucci in collaborazione con The Gallery Apart, di cui Fabrizio Del Signore e Armando Porcari avevano da poco avviato l’attività. Il progetto era curato da Teresa Macrì e da Lorenzo Benedetti e documentato in un catalogo edito dalla Fondazione Volume! con le foto del lavoro, un testo critico di Macrì e un’intervista di Benedetti all’artista.

 

Myriam Laplante è un’artista canadese, nata in Bangladesh e vissuta diversi anni a New York. Vive in Italia dal 1985. A Roma ha tenuto la prima mostra personale nel 1992. Ha iniziato il suo percorso d’artista dipingendo, per poi allargare le sue ricerche ai linguaggi della fotografia, del video, delle installazioni e della performance.

 

In occasione della mostra da Volume! Teresa Macrì scrive: “L’immaginario di Laplante è netto, rinvia alla letteratura dell’horror e del thrilling, ricalca i B-movie, si dirama nei saltimbanchi de Le Cirque du Soleil, si districa tra antiche enciclopedie anatomiche e si inabissa in quelle zone inconsce che vengono solitamente rimosse dentro l’animo in cupi incunaboli, considerati intoccabili”. Questo libero e fecondo immaginario ha trovato negli spazi di Volume! un luogo perfetto dove dispiegarsi e l’artista, per la seconda volta dopo un primo progetto eseguito nel 2003 in occasione di una mostra nella Certosa di San Lorenzo a Padula, ha immaginato per quello spazio un’opera composta da un’installazione e una performance.

 

Nel 2004 l’intervento progettato da Laplante coinvolgeva lo spazio di Volume! a partire dalla soglia. L’artista, infatti, aveva fatto allestire all’entrata di via San Francesco di Sales un vecchio portone, che restringeva l’ingresso moderno e lo riportava indietro nel tempo, quando gli spazi al piano terra del palazzo erano sede di una vetreria. Fuori dalla porta aveva fatto attaccare anche l’insegna del vecchio negozio. Lo scopo era quello di camuffare e nascondere ciò che stava realmente accadendo all’interno. Varcata la soglia non ci si trovava di fronte una fabbrica di vetri ma un ambiente spoglio disseminato di alambicchi, fornelli, distillatori, tubi e provette dentro cui ribollivano liquidi colorati. Sotto questi contenitori erano disposte cinque strane figure sulle cui teste colavano gli umori distillati dei liquidi colorati. In un altro angolo, accanto a una scrivania, erano ordinate su tre mensole una serie di campane di vetro contenenti curiosi esseri dalle fattezze “geneticamente modificate”. Quello che si aveva di fronte era chiaramente un laboratorio con una serie di cavie sottoposte a qualche strano esperimento.

 

“Man mano che va avanti la mostra, vanno avanti anche gli esperimenti. –  ha allora raccontato l’artista a Benedetti – Gli esseri che ricevono l’elisir vengono progressivamente distrutti, le loro facce si disintegrano lasciando vedere il teschio. Sono degli ignari felici, fischiettano in coro mentre vengono distrutti (…). Sarà un processo lento e irreversibile, proprio come quello che sta realmente accadendo nel mondo oggi”. Il siero, che il fuoco fa bollire ed evaporare cola sulle teste delle cavie e invece di rinvigorirle, le consuma, sciogliendo la delicata creta di cui sono fatte.

 

L’installazione era accompagnata da una performance in cui l’artista, nei panni di uno scienziato visionario e pazzo, dopo essersi immersa nell’elisir e avervi immerso il suo gemello parassita, nato anche lui da folli sperimentazioni genetiche e inizialmente suo sodale, decide di uccidere questo alter ego. Lo soffoca, gli stacca la testa e l’abbandona immersa nell’elisir. L’artista-scienziato rimane così l’unico individuo in possesso del siero miracoloso, in grado tenere in vita e controllare gli organismi creati geneticamente. Anche in questo caso, come per le cavie da laboratorio, il termine della storia non è un lieto fine: non c’è felice condivisione di una conoscenza, ma la negativa egoistica concentrazione del potere nelle mani di un singolo. Il lavoro diviene una “trasposizione ilare” di alcune dinamiche tipiche del mondo globalizzato, in cui la sperimentazione biotecnologica, su esseri vegetali o viventi, non sempre è condotta secondo criteri etici e condivisibili dalla collettività, ma anzi, al contrario, serve per arricchire e creare profitto per pochissimi individui, che finiscono con avere molto potere concentrato nelle loro mani.

 

Il riallestimento di Elisir all’interno di uno contesto come quello del Palazzo delle Esposizioni colloca il lavoro in uno spazio connotato in maniera molto diversa rispetto a quello di Volume! L’atmosfera in cui lo spettatore farà il suo incontro con l’opera non potrà essere la stessa del 2004. La presentazione in un museo, inoltre, pone inevitabili limiti anche al completamento dell’originale messa in opera dell’installazione. Nei nuovi spazi, infatti, non è possibile tenere accesi i fornelli del laboratorio e assistere così al lento decadimento dei corpi delle cavie e al modificarsi progressivo dell’opera. (Mentre scriviamo siamo in attesa di sapere dai Vigili del Fuoco se sarà possibile, per una giornata almeno, avere una deroga al regolamento per poter mostrare al pubblico l’opera nella sua versione originale). Ciò nonostante il lavoro di Laplante mantiene con la sua solo presenza tutta la forza perturbante che l’ha generato. Una forza che risiede nella sua capacità di presentare un’immagine che appartiene alla realtà del tempo presente, com’è quella di un laboratorio scientifico (scenario che, da sempre, ha nutrito le proiezioni positive o catastrofiche sul futuro dell’uomo) e contemporaneamente trasfigurarla in un luogo e in un tempo che sembrano appartenere a un’altra dimensione del tutto fuori dalla realtà. Così come ci presenta “oggetti che hanno doppie identità”, scrive Macrì, che “da bambole e peluche, innocue e tenere, diventano mostri acefali e corpi modificati”. Laplante, scrive sempre Macrì, “attraverso il linguaggio e il logos estetico, insinua i rischi e gli abusi di una zona oscura della scienza”, così come in molti altri suoi lavori ragiona sui “temi della coercizione, del controllo sociale”.

 

Siamo degli “ignari felici” dice Laplante, che oggi ha deciso di inserire dentro a Elisir, in occasione di questa sua riproposizione in pubblico, una “gemma cosmica” (simile a quelle da lei realizzate per un’installazione omonima alla Nuova Galleria Morone nel 2015), un organismo alieno che testimonia il passaggio del tempo e i transiti tra dimensioni parallele, oltre alla speranza di una (aliena?) rigenerazione.  

 

(Paola Bonani)

 

Ringraziamo profondamente l’artista che ha curato la presentazione del suo lavoro in occasione di questa mostra.