IL PROGETTO DI PIO PIACENTINI NEL PROGRAMMA DI ROMA CAPITALE
Nel 1874 fu terminata la costruzione della nuova stazione (su progetto di Salvatore Bianchi) e quindi si rese urgente un forte segno di raccordo con il centro della città: via Nazionale, con il marcato disegno di piazza Esedra (allora piazza delle Terme), che riprendeva nel progetto di Koch, attuato tra il 1886 e il 1890, il tracciato delle terme di Diocleziano, un riferimento all’antico già proposto da Michelangelo con la costruzione di Santa Maria degli Angeli, diventava così un asse viario preminente nel nuovo sviluppo della città. Dalla grande piazza, luogo monumentale di accoglienza per chi giungeva dalla stazione, attraverso l’ampia percorrenza di via Nazionale, con l’attuazione del prolungamento fino a piazza Venezia, ci si ricollegava al cuore storico della città.
Le scelte urbanistiche, la collocazione degli edifici rappresentativi, i risultati dei concorsi, provocarono in quegli anni un accesissimo dibattito attorno alla edificazione di una città moderna che necessariamente si inseriva in un tessuto urbano molto complesso, dove ogni scelta rischiava di essere una pesante frattura. "Roma, scriveva il sindaco Luigi Pianciani nel 1882, è il primo museo del mondo, ma non è una capitale che soddisfi i bisogni del presente… Non è un Comune da amministrare, è la massima delle metropoli antiche da rispettare, una metropoli moderna da creare".
Il concorso per il Palazzo delle Esposizioni Nazionali di Belle Arti si situa proprio in questo contesto: quello di provvedere alla costruzione di edifici particolarmente rappresentativi, e di dotare la città di tutte quelle strutture necessarie alla nuova funzione di capitale. Quindi, la volontà di realizzare un edificio che esaltasse la vocazione culturale della città, primo in Italia totalmente dedicato alle Belle Arti, pur non essendo museo, allo scopo di documentare con continuità la storia artistica passata e presente e al tempo stesso capace di confrontarsi con i grandi modelli europei.
Un primo concorso fu bandito nel 1876, non vi viene stabilita la designazione dell’area, lasciata alla libera scelta dei progettisti (ci fu chi propose piazza del Popolo) né l’entità della cifra che sarebbe stata stanziata. Un bando molto generico che dava soltanto alcune indicazioni di consistenza; si legge infatti: "Il fabbricato per l’Esposizione nazionale predetta dovrà occupare, sopra un’area da designarsi, lo spazio di metri quadrati 4.000, avrà due soli piani e sarà possibilmente circondato da giardini". Quaranta furono i progetti presentati, esposti al Collegio Romano. Poco più di un anno dopo venne bandito un secondo concorso con l’indicazione dell’area di via Nazionale considerata la collocazione più idonea per il carattere rappresentativo che l’edificio doveva avere e quindi non a caso inserito in quella zona di preminenza urbana che rappresentava l’asse di accesso alla città storica. Settantaquattro furono i progetti presentati.
Dopo molte polemiche e non senza indecisioni all’interno della commissione giudicatrice, vincitore risultò il progetto di Pio Piacentini contrassegnato con il motto "Sit quod vis simplex et unum". I lavori della costruzione furono avviati soltanto nel 1880 e l’edificio venne inaugurato, con una cerimonia solenne, nel 1883.
Pio Piacentini era nato a Roma nel 1846 e nella sua formazione di architetto presso l’Accademia di San Luca, di cui fu poi presidente, assorbì quella tendenza purista che aveva dominato la città sotto Pio IX. Nei suoi progetti, come in quelli di molti altri architetti romani a lui contemporanei, eredi di una cultura accademica, vi è una particolare attenzione per il disegno, piuttosto che per il contesto urbano in cui l’edificio si dovrà collocare. Per quanto riguarda il Palazzo delle Esposizioni, Piacentini era comunque consapevole di questo problema (la ristrettezza dello spazio, il limitato margine di accesso sulla strada, il dislivello per l’abbassamento di via Nazionale, accentuato poi con la costruzione del traforo) e, come vedremo, successivamente cercherà delle soluzioni che non verranno realizzate.