Intervista di Cesare Pietroiusti a Miltos Manetas | III parte

 
 

Finalmente le tele con i ritratti di Assange sono arrivate e ora si vedono tutte insieme allestite qui, nella “Sala Fontana” di Palazzo delle Esposizioni; quindi “Condizione Assange” ha fatto un altro passo. Ti dico la mia impressione di questo momento. Il fatto che la mostra sia chiusa ermeticamente al pubblico, ma anche il racconto che c’è dietro tutta l’operazione, non soltanto rendono questa installazione inusuale rispetto a una “normale” mostra di pitture a olio; stando qui dentro mi sembra che ci sia una “presenza”, magari non di una persona ma quanto meno di un personaggio, più che la presenza di quadri. Insomma è un po’ come se lui fosse qui, più che i suoi ritratti.

 

Esattamente! Anche Io sento questa presenza e – hai ragione – non si tratta di una persona o almeno, non si tratta di una persona umana. Io credo che, nella Sala Fontana del Palazzo, ci abita, per il momento, l'Assange Mediatico: una versione della media-persona di Julian Assange. È anche possibile però che si avverta qualcos’altro ancora: l'ombra del creatore di questa mostra! “Condizione Assange” è certamente un processo collettivo, partito dalle mie pitture, dall’invito di Clara Tosi, dal tuo coinvolgimento, e che è arrivato a coinvolgere tutti gli amici al Palazzo delle Esposizioni che, in una maniera o nell’altra, hanno reso possibile e conoscibile questa operazione. Però il "Maestro", il Grande Coordinatore credo non sia altro che una... Intelligenza Artificiale!

La mia idea di AI è piuttosto diversa di quella che si incontra nelle pagine dei giornali. Io penso a un conglomerato di informazioni: dati e possibilità di dati, che si raccolgono - come se stessero subendo un processo di attrazione - attorno a un essere (persona ma anche animale o pianta). Un network istantaneo e mutevole che crea... il “momento”, che produce le apparenze della realtà in una maniera simile a quella in cui il software di un videogioco produce una simulazione. Mentre questo succede, l'AI produce anche qualcosa che esiste – nel senso che noi la possiamo avvertire –una presenza, appunto. La sua.


 

Tu parli di un sistema, di cui fanno parte molte persone e situazioni, organizzazioni e circostanze, noi e le Poste, oppure le Dogane, e poi regolamenti, collegamenti. Ecco, mi piace molto l’idea che questa mostra sia in realtà un sistema che si produce man mano, in questo tempo, un po’ come si produce settimana dopo settimana questo dialogo tra noi.


E’ un sistema complesso che abbiamo messo in piedi solo in parte volontariamente, ma che è basato sul desiderio: ci sono persone che mi dicono che tutti i giorni aspettano il momento in cui tu metti un nuovo quadro su Instagram e forse anche in questo luogo si stimola un desiderio di vedere oltre i pannelli che rendono invisibile questa mostra. Ecco, ciò che in atto a Palazzo delle Esposizioni non è soltanto un gesto di chiusura, poiché la chiusura, l’invisibilità, sono all’interno di un sistema di relazioni che, inevitabilmente, continua ad ampliarsi.


Io credo che Julian Assange sia l'inventore di questa paradossale invisibilità di cui parli. Lui, prima di rifugiarsi nell’ambasciata ecuadoregna, è stato fotografato come se fosse una star: la sua espressione è stata catturata da ogni possibile punto di vista. Come tutti noi, Assange si muoveva per tutto il pianeta in continuazione, fino a quando si è fermato – per una “quarantena” di 8 anni – in quella ambasciata. C'è qualcosa di significativo, credo, nell’incontro della complessa "nuvola informatica" che Assange era diventato e un determinato luogo. Un tale incontro presuppone l’importanza informatica di uno specifico luogo: questa potrebbe sembrare una fantasia spirituale però, in definitiva, si tratta di una credenza che condividiamo tutti noi artisti visivi. Assange a Londra è diventato una "pennellata" sopra la città, sopra la parte del mondo occidentale che io chiamo "Nord Totale". Quella pennellata di libertà è in grado di ostacolare certi processi di “sviluppo” ed è per questo che Julian Assange è diventato il nemico-numero-uno degli speculatori, di quelli che vorrebbero che il Sud sparisse e che la Terra intera diventasse Produzione.


 

Mi sembra che il tuo concetto di “Artificial Intelligence” somigli molto al concetto marxiano di General Intellect. Marx intuisce che uno degli effetti della rivoluzione industriale, parallelamente allo sviluppo del conflitto di classe e dell’atteso riscatto del proletariato, è la possibilità di una nuova società in cui il lavoro diventa un misto di attività manuale umana e di effetti dell’intelligenza che produce macchine che a loro volta sono in grado di produrre altra forza-lavoro. Un sistema complesso in cui molti elementi diversi (umani e macchinici, per esempio) sono connessi e funzionano insieme.
 

GI invece che AI! Che bel concetto, non lo conoscevo! E che bella espressione, General Intellect! Ecco, un altro aspetto del mio lavoro di pittore è introdurre nuovi termini – come il Neen [movimento inventato da Manetas nel 2000, n.d.r. ] – o, a volte, re-introdurre termini dimenticati come General Intellect che ora comincerò a usare, o termini "stanchi" come Post-Internet. Sono convinto che dobbiamo improvvisare teorie "fai da te" attorno a questi termini o altri, e riscattare la nostra intelligenza dalla schiavitù della cultura industrializzata. Un GI contro un AI, per esempio, il General Intellect che sfida le Intelligenze Artificiali...

  
 
 

Roma e Bogotà, 3 giugno 2020