Manifesti e movimenti del Novecento

 
 
1909 - FUTURISMO

Il 20 febbraio 1909 Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944) pubblica sulle pagine del quotidiano francese “Le Figaro” il Manifeste du Futurisme. Subito dopo dà alle stampe la traduzione italiana, intitolata Fondazione e Manifesto del Futurismo.
Questi testi, come anche il Manifesto dei pittori futuristi, firmato nel 1910 da Giacomo Balla (1871-1958), Umberto Boccioni (1882-1916), Carlo Carrà (1881-1966), Luigi Russolo (1885-1947) e Gino Severini (1983-1966) e L’antitradizione futurista di Guillaume Apollinaire (1880-1918), annunciano tutti la necessità di un radicale cambiamento culturale. Celebrano il progresso e le sensazioni dinamiche della mondo moderno contro i “cimiteri innumerevoli” dell’arte del passato e sostengono la necessità di un diretto coinvolgimento dell’arte con la vita. La forte tensione verso il nuovo spinge questi artisti a compiere sperimentazioni stilistiche e tecniche che li portano a superare in molti campi dell’arte i limiti linguistici tradizionali, come avviene, ad esempio, in pittura con il polimaterismo di Enrico Prampolini.
Nel 1915 nel Ricostruzione futurista dell’universo di Giacomo Balla e Fortunato Depero arrivano a immaginare un’arte totale, in grado di investire ogni aspetto della vita dell’uomo moderno.

 
 

1912 – CAVALIERE AZZURRO

Insieme con il gruppo francese dei Fauves e con quello tedesco de Il ponte (Die Brücke), il gruppo del Cavaliere Azzurro (Blaue Reiter), fondato a Monaco di Baviera nel 1911 da Vassilij Kandinskij (1866-1944) e Franz Marc (1880-1916), fa parte delle correnti espressioniste che maturano in Europa all’inizio del Novecento.
Gli artisti del Cavaliere Azzurro (tra cui figurano, oltre a Kandinskij e Marc, anche Paul Klee, August Macke, Alexej von Jawlensky e Marianne von Werefkin), pur non avendo mai redatto un manifesto, affidano le loro considerazioni sull’arte a un Almanacco, uscito in un unico numero nel 1912.
In contrasto con il pensiero positivista che aveva caratterizzato una parte della pittura impressionista e neoimpressionista, questi artisti cercano di restituire nelle proprie opere non solo le apparenze del mondo esterno ma la sua essenza più profonda, filtrata attraverso la loro personale sensibilità. Sotto la spinta della riflessione teorica di Kandinskij, si interessano a quegli aspetti del mondo naturale in grado di innalzare l’essere umano oltre la sua dimensione puramente terrena, esaltandone il lato spirituale.

 
 

1914 – VORTICISMO

Il testo programmatico del movimento artistico inglese del vorticismo viene pubblicato da Wyndham Lewis (1884-1957) sul primo numero della rivista “BLAST” nel giugno 1914 con il semplice titolo di Manifesto. Il testo si apre con una sequenza di venti pagine, caratterizzate da una dinamica impostazione grafica, in cui viene elencato tutto ciò che il vorticismo odia e ama sotto le due etichette di “BLAST” e “BLESS”.
La stessa modalità di contrapposizione (“distruzione”/“costruzione”) era stata utilizzata l’anno precedente da Guillaume Apollinaire nel suo manifesto L’antitradizione futurista. Il testo è però scritto da Lewis in polemica con il futurismo e con Filippo Tommaso Marinetti, di cui lo stesso Lewis era diventato inizialmente seguace dopo il loro incontro a Londra nel 1910.
Contro l’eredità del passato e contro le illusioni del futuro, e proprio per questo contro il futurismo, che è accusato di slanci romantici e velleitari, il vorticismo di Lewis esalta la dimensione vitale del presente e la vigorosa sensazione di essere “attraversati” dalla grezza energia vitale del mondo.

 
 

1916 – SUPREMATISMO

Fondato dal pittore russo Kazimir Malevič (1878-1935), il movimento suprematista, a cui aderirono anche Olga Rozanova (1886-1918) e Aleksandr Rodchenko (1891-1956), insieme al costruttivismo, costituisce una delle due principali correnti delle avanguardie storiche russe.
Il Manifesto del Suprematismo, pubblicato da Malevič nel 1916 (esposto probabilmente l’anno precedente), racchiude i princìpi ispiratori del movimento e una delle prime organiche teorizzazioni sull’arte astratta.
Malevič invita tutti gli artisti a realizzare opere d’arte libere da qualsiasi riferimento alla realtà e alle forme della natura, capaci di porsi nel mondo loro stesse come “oggetti viventi”. Quadrati, triangoli, cerchi, le più elementari forme geometriche, ereditate della pittura cubista, sono per lui gli strumenti necessari a esprimere “la supremazia della sensibilità pura”.

 
 

1918 – DADA

Il movimento Dada nasce a Zurigo nel 1916 ad opera di un gruppo di letterati, poeti e artisti, tra cui Tristan Tzara (1896-1963) e Richard Huelsenbeck (1892-1974), che si ritrovarono per motivi diversi in Svizzera allo scoppio della Prima guerra mondiale.
Il movimento si diffonde presto anche in altre città dell’Europa del Nord (a Berlino, a Colonia, ad Hannover) e negli Stati Uniti, dove intorno al 1915 si trovano Marcel Duchamp, Francis Picabia (1879-1953) e Man Ray. Nel 1919, finita la guerra, l’epicentro del movimento si sposta a Parigi dove vi aderiscono André Breton (1896-1966), Louis Aragon (1897-1982), Philippe Soupault (1897-1990) e Georges Ribemont-Dessaignes (1894-1974). Diversamente dalle altre avanguardie d’inizio Novecento, che propongono tutte un cambiamento o un intervento dell’arte nella società, Dada sostiene la contestazione totale, contro la società e contro tutto quello che produce, contro la ragione e contro le mostruosità che genera. Contro l’arte stessa Dada nega ogni possibile sistema estetico definito. Gli artisti dadaisti si affidano alla provocazione, al caso e alla contaminazione dei linguaggi per contestare ogni forma di logica e progettualità razionale. 

 
 

1919 – MERZ

Vicino all’ambiente Dada, per l’amicizia che lo lega a Tristan Tzara e Hans Arp, l’artista tedesco Kurt Schwitters (1887-1948) sviluppa una sua personale ricerca a cui da il nome di Merz (parola senza un significato preciso estrapolata dal frammento di un suo collage). Anche per lui, come per gli artisti dadaisti, il principio che governa la costruzione dell’opera d’arte è la casualità. I suoi quadri-oggetti sono costruiti attraverso l’assemblaggio di tutto ciò che accidentalmente capita sotto il suo sguardo o a portata di mano. Diversamente dal collage degli artisti cubisti, in cui i frammenti di realtà s’inseriscono all’interno di una composizione pittorica studiata, gli oggetti prelevati da Schwitters (biglietti dell’autobus, spaghi, tappi, bottoni, pezzi di legno, frammenti di giornali…) si accumulano nelle sue composizioni senza nessun ordine o criterio, alla rinfusa. Anche i suoi progetti più impegnativi, come i Merzbau (un intero ambiente costruito nel corso degli anni Dieci all’interno della sua casa ad Hannover) sono accumuli di oggetti “vissuti” disposti nello spazio non secondo una logica ma come specchio della trama intricata di un’intera esistenza.

 
 

1920 – COSTRUTTIVISMO

Il movimento costruttivista, guidato da Vladimir Tatlin, nasce in Russia alla vigilia della rivoluzione bolscevica. Al suo interno si distinguono presto due diverse anime. Per il suo fondatore e per gli artisti e intellettuali della rivista “LEF” (Fronte di sinistra delle arti), l’arte fine a se stessa è da condannare come frutto della società capitalista: l’unico compito che spetta all’artista è quello di “costruire” un’arte rivoluzionaria al servizio delle masse attraverso il suo impegno in campi quali la tipografia, l’architettura e la produzione industriale.
Una diversa posizione hanno invece i due fratelli Naum Gabo (1890-1977) e Anton Pevsner (1884-1962), che nel 1920 pubblicano a Mosca il Manifesto realista per prendere le distanze dall’impostazione fortemente ideologica data al movimento dal suo fondatore. L’arte per loro non deve essere utile all’uomo nella società, ma deve aiutarlo a stabilire un contatto con l’essenza profonda della realtà e con le strutture che la sorreggono. Strutture astratte che si articolano nello spazio e nel tempo e che Gabo e Pevsner cercano di restituire nelle forme dinamiche delle loro opere plastiche.

 
 

1921 – STRIDENTISMO 

Fondato nel 1921 dal poeta Manuel Maples Arce (1898-1981) lo Stridentismo è il primo movimento d’avanguardia messicano a coinvolgere letteratura, arte e musica, e il primo ad aver avuto una risonanza internazionale. Secondo uno schema tipico dei proclami futuristi, a cui lo Stridentismo fa in parte riferimento, nel testo di fondazione del movimento Maples Arce, al grido di “Chopin alla sedia elettrica!”, attacca l’arte del passato e tutti gli intellettuali messicani di maggior fama, invitando a sostituire il culto dei classici con quello della velocità e della modernità, ed esaltando i progressi della tecnologia delle macchine. 

 
 

1921 – CREAZIONISMO

Il Creazionismo è stato un movimento letterario fondato dal poeta cileno Vicente Huidobro (1893-1948). Dopo aver frequentato a Parigi alcuni dei maggiori poeti dell’avanguardia francese tra cui Guillaume Apollinaire, Tristan Tzara e Pierre Reverdy, e dopo aver dato vita a Madrid nel 1921 alla rivista “Creación”, in cui vengono riprodotte opere di Pablo Picasso, Juan Gris, George Braque, Huidobro traccia le caratteristiche della sua teoria del “creazionismo” durante una serie di conferenze che tiene tra il 1921 e il 1922 in giro per Europa. Riproponendo alcuni temi cari alle avanguardie europee, Huidobro annuncia l’avvio per l’arte di una nuova epoca della “creazione” e la fine dell’epoca della mimesi e dell’imitazione delle forme delle natura: l’artista, con la forza di un demiurgo, deve “creare un poema come la natura crea un albero”.

 
 

1924 – SURREALISMO

Il movimento surrealista nasce negli anni Venti del Novecento intorno alla rivista “Litterature” fondata a Parigi da Louis Aragon (1897-1982), André Breton (1896-1966) e Philippe Soupault (1897-1990).
Questo gruppo di letterati, dopo aver inizialmente aderito al movimento dadaista e dopo averne sostenuto la contestazione globale contro ogni sistema estetico precostituito, comincia a interessarsi sempre più ai temi dell’irrazionale e dell’inconscio, soprattutto sotto lo stimolo di Breton, attento conoscitore delle teorie psicanalitiche di Sigmund Freud.
Nel Manifesto del Surrealismo del 1924 Breton esalta la libertà dell’immaginazione e della dimensione onirica, analizzata proprio da Freud, in contrapposizione al “regno della logica” che regola la dimensione cosciente della vita. Indica il sogno come stato ideale per l’essere umano, e la letteratura e l’arte come i luoghi più adatti dove fissare attraverso le immagini i contenuti provenienti dai territori illimitati della psiche. Il surrealismo è “automatismo psichico puro”, spiega Breton, “il dettato del pensiero, con assenza di ogni controllo esercitato dalla ragione”.

 
 

1932 - JOHN REED CLUB

Il John Reed Club di New York viene fondato nell’ottobre del 1929 da un gruppo di redattori della rivista marxista “New Masses” per sostenere l’attività di scrittori, artisti, musicisti e intellettuali d’avanguardia durante gli anni della Grande Depressione. L’associazione prende il suo nome da John Reed (1887-1920), giornalista americano e attivista politico, che fu testimone oculare della rivoluzione guidata da Lenin nell’ottobre del 1917 in Russia, a cui dedicò il famoso libro-cronaca I dieci giorni che sconvolsero il mondo (1919).
Il manifesto pubblicato dall’associazione nel giugno del 1932, ispirato ai princìpi del Manifesto del Partito comunista pubblicato da Karl Marx e Friedrich Engels nel 1848, annuncia la crisi del sistema capitalistico e dell’arte borghese, e chiama a raccolta tutti gli artisti e intellettuali vicini alle problematiche della classe operaia, sottolineando la necessità che l’arte prenda una posizione netta di fronte ai conflitti che la storia presenta. 

 
 

1946 - SPAZIALISMO

Il movimento dello Spazialismo viene fondato a Milano da Lucio Fontana (1899-1968) nel 1947 con la pubblicazione del primo manifesto del gruppo.
Già l’anno precedente Fontana aveva elaborato i principi fondanti dell’arte spaziale nel Manifesto bianco, scritto insieme a tre giovani artisti e a sette studenti della Scuola Libera di Arti Plastiche Altamira da lui fondata a Buenos Aires. In questo testo si afferma la necessità di un’arte totalmente nuova che deve superare i concetti tradizionali di pittura, di scultura, di poesia e di musica.
In un’epoca che si avvia verso nuove conquiste tecnologiche e progetta mirabolanti esplorazioni dello spazio, “l’uomo si fa sempre più insensibile alle immagini inchiodate senza indizi di vitalità”. Per Fontana e per gli artisti spaziali l’atto creativo deve necessariamente confrontarsi con questa nuova dimensione senza confini e in movimento, e considerarla come un’entità vitale, fatta di energia e materia, in cui agire.
Colore, spazio, suono, tempo, gesto, sono gli elementi linguistici suggeriti per intervenire in questa realtà psico-fisica: una dimensione che avvolge l’opera d’arte e a cui Fontana allude nella realizzazione del suo Ambiente spaziale a luce nera del 1949 e nella serie di tele con i “buchi” che inizia a eseguire nello stesso anno. 

 
 

1948 - ESPRESSIONISMO ASTRATTO

Il termine “espressionismo astratto” viene usato dopo la Seconda guerra mondiale per indicare il lavoro di un ampio gruppo di artisti attivi negli Stati Uniti.
Quest’etichetta accomuna l’opera, tra gli altri, di Franz Kline, Robert Motherwell, Barnett Newman, Kenneth Noland, Jackson Pollock e Mark Rothko.
Pur nella diversità di queste ricerche, tutti questi artisti uniscono nel loro lavoro un’innovativa sperimentazione linguistica nel campo dell’arte non-figurativa (come, ad esempio, l’invenzione del dripping di Pollock) con un carattere di forte intensità espressiva, frutto dell’accesa gestualità attraverso cui operano, dell’uso che fanno del colore e dell’ampia dimensione di molti dei loro lavori.
Secondo Barnett Newman (1905-1970), esponente di quella che all’interno dell’espressionismo astratto è chiamata Color Field Painting, le ricerche di questi artisti si legano al tentativo comune a tutta l’arte moderna di scardinare i canoni antichi del bello e di affrancarsi dalle immagini del passato, fatte di “figure e cose”. Ciò che deve tornare a esprimere l’arte d’avanguardia, scrive Newman nel suo manifesto Il sublime è adesso (1948), è infatti quel “naturale anelito dell’uomo per ciò che è elevato, per tutto ciò che riguarda il suo entrare in relazione con le emozioni assolute”. 

 
 

1960 - SITUAZIONISMO

“La nostra arte è l’arte di un periodo rivoluzionario, simultaneamente reazione di un mondo che affonda e annuncio di una nuova era”. Così scrive nel 1948 l’artista olandese Constant Nieuwenhuys, più noto come Constant (1920-2005).
Questo desiderio di creare “un nuovo e fantastico modo di vedere” porta Constant ad aderire nel 1957 all’Internazionale Situazionista, un gruppo radicale di intellettuali e artisti guidato dal filosofo francese Guy Debord (1931-1994). Nel manifesto del movimento, pubblicato nel giugno del 1960, si proclama per l’arte la necessità di un “nuovo tipo di azione”.
L’arte situazionista dovrà essere un’arte d’interazione. Dovrà costruire “situazioni” e momenti da vivere concretamente. Dovrà esprimersi attraverso atti condivisi collettivamente. E non dovrà in nessun modo lasciare tracce materiali di sé, che sarebbero condannate inevitabilmente alla mercificazione.
Attraverso l’organizzazione di happening e performance i situazionisti affermano, come anche Fluxus, una connessione tra la dimensione dell’arte e quella della vita.
Negli anni il movimento si caratterizzerà sempre più come un’avanguardia politica per la sua critica radicale al sistema, anticipando molti dei motivi propri delle contestazioni del Sessantotto.

 
 

1961 – POP ART

La Pop Art non è stato un vero e proprio movimento con manifesti e attività di gruppo. Il termine ha avuto una prorompente e immediata diffusione internazionale e identifica ricerche diverse nate nell’alveo delle società cosiddette industriali con le quali la Pop Art viene in definitiva identificata.
È nata nei primissimi anni Sessanta dal lavoro di una generazione che aveva visto lentamente esaurirsi la carica innovativa delle ricerche dell’informale e dell’espressionismo astratto.
In Inghilterra le prime discussioni sulla possibilità di assumere la cultura popolare nell’ambito dell’arte avvengono intorno all’Indipendent Group, un’organizzazione di artisti che a partire dall’inverno del 1952 si riunisce presso l’Institute of Contemporary Art di Londra.
Negli Stati Uniti, dove il fenomeno si radica maggiormente, artisti come Andy Warhol, Roy Lichtenstein, Tom Wesselmann, James Rosenquist e Claes Oldenburg (1929), sulla via già intrapresa da Robert Rauschenberg, Jasper Johns e Jim Dine, volgono la loro attenzione al mondo reale che li circonda. Danno risalto al contesto urbano in cui vivono, fatto di oggetti prodotti in serie e consumati in massa.
La realtà largamente condivisa da tutti, fatta di tubetti di dentifricio, barattoli di zuppa, fumetti o la foto di celebri attori del cinema, diviene soggetto unico delle loro opere.
Riassumendo bene questa nuova e radicale adesione dell’arte alla vita reale che caratterizza le ricerche della Pop Art, Oldenburg dichiara nel 1961: “Sono per un’arte che imita l’umano”. 

 
 

1963 - FLUXUS

Fluxus nasce ufficialmente nel 1962 in occasione del Fluxus Internazionale Festspiele Neuester Musik organizzato a Wiesbaden in Germania da George Maciunas (1931-1978).
A partire da quella data Fluxus si estende velocemente in Europa e in America. Vi aderiscono numerosi artisti tra cui Joseph Beuys, Nam June Paik, La Monte Young, Yoko Ono, Emmett Williams (1925-2007), Philip Corner (1933), Dick Higgins (1938-1998), Allen Bukoff (1951), Larry Miller (1944), Eric Andersen (1940), Tomas Schmit (1943-2006), Ben Vautier (1935), gli italiani Giuseppe Chiari e Gian Emilio Simonetti.
Tutti questi artisti sono uniti dalla stessa profonda convinzione: “La vita è un’opera d’arte e l’opera d’arte è vita”. Come avevano sostenuto i due numi tutelari del movimento, Marcel Duchamp con i suoi ready-made e John Cage (1912-1992) con le sue radicali improvvisazioni musicali, il gesto artistico deve sconfinare nel flusso della vita quotidiana e la vita quotidiana nella dimensione dell’arte.
Per creare questa “arte viva” gli artisti di Fluxus realizzano video, happenings, performance, concerti, spettacoli, sfruttando il carattere di “intermediazione” proprio di queste pratiche, cioè la compresenza di stimoli diversi: gesti, immagini, oggetti, suoni, rumori, parole e musica. 

 
 

1965 – MINIMALISMO

Il minimalismo è stata una tendenza sviluppatasi intorno alla metà degli anni Sessanta.
Il termine “minimal art” viene coniato nel 1965 dal filosofo inglese Richard Wollheim in un articolo pubblicato sulla rivista “Arts Magazine” e raggruppa il lavoro di artisti con sensibilità anche molto diverse, in prevalenza attivi negli Stati Uniti: scultori come Donald Judd, Robert Morris, Carl Andre e pittori come Stella, Robert Ryman, Agnes Martin, Robert Mangold, Richard Tuttle, Richard Nonas, ma anche musicisti e performers come Philip Glass e Yvonne Rainer (1934).
Nel 1966 la mostra Primary Structures al Jewish Museum di New York porta il fenomeno all’attenzione internazionale.
Al di là delle differenze tra i vari artisti, le opere minimaliste hanno un carattere comune di riduzione del contenuto sia emozionale sia formale. Quadri e sculture sono generalmente costituite da figure o volumi geometrici, da unità elementari con forme semplici.
Nelle sculture questi elementi sono realizzati con materie di produzione industriale e il loro colore coincide con quello del materiale usato.
Nella pittura il colore è senza sfumature. Le varie parti dell’opera sono di solito ordinate in sequenze seriali, secondo schemi esatti e ripetuti, senza gerarchie spaziali (tra il centro e i lati dell’opera, tra alto e basso).
Nascondendo il più possibile le tracce d’intervento dell’artista, queste opere rivelano allo sguardo solo gli elementi essenziali del linguaggio, forme, colori, spazio e ritmo, e i loro meccanismi e relazioni, secondo un’investigazione sui propri mezzi tipica di tutta l’arte concettuale. 

 
 

1967 – ARTE CONCETTUALE

Il termine “arte concettuale” inizia a essere utilizzato a metà degli anni Sessanta del Novecento. Da un lato esso individua una serie di ricerche nate in quegli anni e caratterizzate da un atteggiamento fortemente analitico nei confronti del linguaggio dell’arte, come quelle di Sol LeWitt (1928-2007), di Joseph Kosuth, di Lawrence Weiner e del gruppo inglese Art & Language.
Dall’altro lato il termine ha assunto da subito un’accezione più ampia, arrivando a comprendere tutti quegli episodi di arte “smaterializzata” in cui, come scrive LeWitt nei suoi Paragraphs on Conceptual Art (1967), considerati il testo di riferimento iniziale di questa nuova corrente artistica, “l’idea, o concetto, costituisce l’aspetto più importante del lavoro”.
Sulla scia del radicale gesto compiuto da Marcel Duchamp all’inizio del secolo con i suoi ready-made, nell’arte concettuale l’idea e l’azione che l’artista decide di compiere diventano il nucleo centrale dell’opera, che non trova più compimento nel tradizionale oggetto d’arte, sia esso pittura o scultura. Con questo termine si può identificare il lavoro di innumerevoli artisti, tra cui, ad esempio, quello di due autrici americane sensibili alla questione femminile Elaine Sturtevant (1924-2014) e Adrian Piper (1948).

 
 



 

PERFORMANCE

Il termine “happening”, “performance” o “azione” comprende un’ampia tipologia di ricerche e di fatto identifica una nuova tecnica che si aggiunge a quelle tradizionali della pittura, della scultura, del cinema e del teatro.
In generale indica quel radicale processo di sconfinamento che porta l’atto artistico a realizzarsi non più in un’opera ma in un evento, in cui il corpo dell’artista diventa medium dell’opera e quello dello spettatore, che assiste, un elemento fondamentale per il suo completamento.
La performance è il frutto di quel processo che lungo il Novecento ha portato la dimensione spazio-temporale dell’arte a coincidere con quella della vita.
I primi a realizzare di fronte al pubblico le loro provocatorie esibizioni sono Futuristi e dadaisti. A partire dal secondo dopoguerra, sulla scia delle performance musicali di John Cage, questa pratica diviene la principale modalità espressiva di alcuni artisti americani, tra cui Allan Kaprow (cui si deve l’invenzione del termine “happening”), Jim Dine, Red Grooms, Claes Oldenburg, Robert Whitman, dei situazionisti e di Fluxus.
Per tutti gli anni Settanta la performance ha una grande diffusione a livello internazionale ed è certamente ancora oggi uno dei mezzi privilegiati attraverso cui molti artisti, in modi diversi, scelgono di esprimersi.
Tra le tante figure impegnate in questo campo, Mierle Laderman Ukeles (1939) è un’artista americana che ha portato alle estreme conseguenze la commistione tra arte e vita, trasformando la propria esistenza privata di donna e di madre nell’incarnazione dei principi della sua Maintenance Art, rivendicando lo statuto di arte al lavoro di “cura” del prossimo a cui sono normalmente indirizzate le donne dalle consuetudini sociali. 

 
 

ARCHITETTURA

Sin dalla pubblicazione nel 1914 del Manifesto dell’architettura futurista di Antonio Sant’Elia (1888-1916), l’architettura, come le arti plastiche, la musica, il cinema e il teatro, ha le sue formulazioni d’avanguardia con inviti ad abbandonare le forme del passato per abbracciare spazi sempre nuovi e più adatti alle esigenze dell’uomo contemporaneo.
Sant’Elia invoca la costruzione di una città moderna “simile a un immenso cantiere tumultuante” contro l’architettura delle cattedrali e dei palazzi monumentali. Qualche anno dopo Bruno Taut (1880-1938) si schiera contro gli eccessi ornamentali dell’architettura liberty e auspica la costruzione di abitazioni semplici e comode per un mondo trasparente e luminoso.
Robert Venturi (1925-2018) nel 1966 sostiene un’architettura che trae profitto dal senso di complessità e di contraddizione, una condizione in cui operano tutte le scienze e le arti dell’era postmoderna, mentre il collettivo Coop Himmelb(l)au, fondato a Vienna nel 1968, invoca per il mondo attuale un’architettura che brucia e che turbina, in cui, secondo la poetica “decostruttivista”, ogni forma della progettazione tradizionale è intenzionalmente frammentata e scomposta, anche grazie all’aiuto delle nuove conquiste dell’ingegneria.
“Io sono in guerra con il mio tempo, con la storia, con ogni autorità contenuta in forme fisse e spaventate” scrive l’architetto Lebbeus Woods (1940-2012) nel suo Manifesto riassumendo bene l’attitudine di ogni artista d’avanguardia. 

 
 

CINEMA

Le prime sperimentazioni in campo cinematografico coincidono con la diffusione del pensiero delle avanguardie all’inizio del Novecento.
Nel Manifesto della cinematografia futurista del 1916 il cinema è riconosciuto come arte futurista per eccellenza data la natura dinamica del suo linguaggio, perfettamente adatta a narrare la velocità della vita moderna.
Alla celebrazione di questa dinamicità e dell’espressività degli oggetti in movimento è dedicato anche Noi. Variante del manifesto, scritto nel 1922 dal regista russo Dziga Vertov (1896-1954), fondatore del movimento Kinoglaz.
Come nelle altre forme espressive anche all’interno della pratica cinematografica alcuni autori hanno sentito l’esigenza di fissare le loro scelte estetiche, espressive e talvolta ideologiche in testi teorici e manifesti, così da lasciare un’indicazione evidente del loro personale modo d’intendere il cinema: dichiaratamente sperimentale, onirico e allucinato, come quello di Stan Brakhage (1933-2003), aderente al dato oggettivo fino allo straniamento, come quello di Lars von Trier (1956) e Thomas Vinterberg (1969), o sospeso tra realtà e finzione, come quello di Werner Herzog (1942).
La forza di queste visioni, come per la pittura, la scultura, il teatro, si è misurata in base alla capacità di scardinare e mettere in discussione il già dato, offrendo sguardi alternativi sulla realtà.