Uri Aran

Uri Aran

 

Le affascinanti mostre di Uri Aran sembrano laboratori implosi, esercizi - per l'occhio - di teoria del caos, che compongono numerosi sentieri da esplorare. Come dobbiamo pensare tali percorsi, come farci strada lungo questi cammini? Il suggerimento di Aran - come recita il titolo della sua recente esposizione presso la galleria newyorkese Gavin Brown's enterprise, "by foot, by car, by bus" - è quello di muoversi in tre modi diversi alla volta, oppure di andare "here, here and here" (qui, qui e qui), secondo il titolo della mostra del 2013 alla Kunsthalle Zürich. Sovrapposizione, contingenza, multiforme determinazione: gli scenari di Aran sono storie prive di narrazioni normative, esperimenti senza prove.

Da me intervistato in occasione della mostra "To the moon via the beach" organizzata nel 2012 ad Arles dalla Luma Foundation, Aran ha spiegato:

 

Dal punto di vista formale, la natura del mio lavoro è performativa. Cerco quegli aspetti del mio modo di pensare che suggeriscono l'idea o la logica di una storia. Ma invece di raccontarla, pur partendo da un testo uso molteplici elementi.

 

Le storie non sono mai illustrate in maniera esplicita, ma i motivi formali consentono, o sembrano consentire, l'emergere di una lettura personale.
Tra i mezzi di cui Aran si serve per costruire le sue situazioni vi sono i ripiani dei tavoli, sui quali colloca alcuni oggetti con uno scopo preciso, come in un esperimento. In un certo senso, gli elementi di per sé sono in secondo piano rispetto alle narrazioni sottintese. Vi sono paesaggi alloggiati in scatole di cartone, biscotti con gocce di cioccolato, mucchi di portachiavi di metallo con palloni da calcio, coperchi di tazze da caffè usa e getta. A tali assortimenti orizzontali, Aran contrappone espositori a parete verticali con immagini trouvées, ripetute e unite in collage, disegni e cornici inusuali, ma anche assemblaggi scultorei a sé stanti. Le cose sono raccolte, compresse e allargate - detriti, oggetti effimeri, rotti - rigirate, sbrogliate e rimesse al loro improprio posto. Aran afferma: "Lavoro spesso citando situazioni, o con l'idea di cose specifiche più che con le cose stesse, concepite nell'ambito di un sistema chiuso governato da regole".

Sui tavoli, le sculture e gli espositori di Aran, come pure nelle sue performance, nelle sceneggiature e nei video regna un senso di caos speculativo. Ad esempio nel video a singolo canale dal titolo Harry, del 2007, Aran accosta la narrazione emotiva di una lettera d'amore con le immagini al rallentatore di un notiziario girato di notte davanti a un cantiere. Che cosa potrebbe collegare questi elementi? In un nuovo video, Chimpanzee del 2013, assistiamo alle conversazioni frammentate di coppie e di singoli in cui, attraverso un'intricata dinamica di connessione e sconnessione, ciò che è familiare diventa strano e disorientante. Aran è un instancabile osservatore, che sceglie e mescola oggetti, quasi-oggetti e non oggetti, tutte e tre le tipologie in una volta, qui, qui e qui. Tra pubblico e mostra emerge un dialogo che, attraverso una pratica aperta di sperimentazione, favorisce la possibilità di nuovi incontri.

Il metodo di Aran, il suo comporre situazioni come in un laboratorio, mi ricorda un progetto espositivo che ho curato ad Anversa insieme a Barbara Vanderlinden, tra il 1999 e il 2000. "Laboratorium" intendeva studiare e confrontare laboratori scientifici e studi d'artista, nonché l'arte e la scienza come discipline. In occasione di quella mostra, Bruno Latour ha affermato: "È finito il tempo in cui gli scienziati erano isolati nei loro laboratori e il pubblico rimaneva semplicemente fuori, in attesa dei risultati, dispensati poi attraverso comunicati stampa, mostre e insegnamenti scolastici... Non ci interessa tanto il risultato quanto il modus operandi. Questo è il motivo per cui i laboratori dovrebbero essere luoghi di grande interesse per gli artisti. Non esiste una singola caratteristica delle arti che non derivi, per contrasto o per imitazione, dalla scienza".

A questa osservazione lo scienziato cileno Francisco J. Varela ha aggiunto: "Il laboratorio è il gesto, il lampo, che crea una disciplina... Trovo sempre interessante l'interfaccia tra esperienza vissuta e studio scientifico".

È soprattutto su questa interfaccia che lavora Aran, in un'interazione senza fine con le contingenze e le complessità del vivere quotidiano.

 

Hans Ulrich Obrist