Jim Dine - The Smiling Workman

Nell’inverno 1959-1960 Claes Oldenburg e io abbiamo realizzato un’installazione alla Judson Church, che si trovava al Greenwich Village a Washington Square. Abbiamo fatto due installazioni, lui ha chiamato la sua The Street e io ho chiamato la mia The House. Qualcosa, quindi, di “interno” e di “esterno”. 

Alla Judson Church abbiamo anche avuto la nostra prima serata di performance. La mia performance si chiamava The Smiling Workman ed è stata eseguita una sola volta, mentre la casa che avevo costruito, l’installazione, è rimasta. Finita la performance la gente poteva visitarla e camminarci dentro, facendo un’esperienza. 

Oldenburg e io avevamo lo stesso modo di lavorare alle installazioni: andavamo fuori per strada ogni notte e raccoglievamo la spazzatura, raccoglievamo qualsiasi cosa. Faceva freddo, era prima degli attuali cambiamenti climatici e New York in inverno era sempre ricoperta di neve all’altezza delle ginocchia. La neve era dappertutto e dalla neve potevi vedere spuntare un arto, perché eravamo vicino a Bowery ed era pieno di senza tetto che morivano per strada. 

In quel periodo Claes e io eravamo molto ispirati. Parlavamo di Art Brut, di Dubuffet, dell’arte dei malati di mente e dell’arte dei bambini.  

Essenzialmente, la mia installazione era un grande collage, una grande combinazione di tutti i detriti che avevo trovato per strada, messi insieme con la pittura. È stata la prima volta che sono riuscito a lavorare su grande scala, a un collage su grande scala. 

La performance, The Smiling Workman, aveva un solo performer: il sottoscritto. La Judson Church era sempre stato un posto dove si facevano performance. C’erano gruppi di teatro e gruppi di danza e avevano un’enorme quantità di costumi. Trovai lì un grande mantello rosso che indossai coprendomi interamente, anche la testa. Mi dipinsi la faccia di rosso con una grande bocca nera ed entrai in scena facendo strani rumori e grugniti. Stavo di fronte a una enorme tela, che direi fosse alta circa tre metri, tre metri e mezzo e larga altrettanto. Cominciai a scrivere con un pennello e con il colore rosso, lentamente “I love” e grugnivo, e poi scrissi “what”, “I love what” e grugnivo e il pubblico non sapeva cosa pensare di quanto accadeva, ma in molti ridevano. E grugnivo ancora e scrissi “I am” e poi “doing”, “I love what I’m doing”. Ho preso la pittura da terra, l’ho bevuta, mi sono rovesciato il resto sulla testa e sono saltato attraverso la tela. Finì così, come una specie di blackout.  

Non ho mai saputo cosa la gente ne pensasse ma erano tutti impazziti. E mi sentì molto soddisfatto di essere riuscito a esprimere quest’emozione, l’ossessione per il lavoro, e a trasmetterla con tale immediatezza, in appena tre minuti.