La storia

1. Il progetto di Pio Piacentini nel programma di Roma Capitale

Immagine del progetto di concorso di Pio Piacentini

Nel 1874 fu terminata la costruzione della nuova stazione (su progetto di Salvatore Bianchi) e quindi si rese urgente un forte segno di raccordo con il centro della città: via Nazionale, con il marcato disegno di piazza Esedra (allora piazza delle Terme), che riprendeva nel progetto di Koch, attuato tra il 1886 e il 1890, il tracciato delle terme di Diocleziano, un riferimento all’antico già proposto da Michelangelo con la costruzione di Santa Maria degli Angeli, diventava così un asse viario preminente nel nuovo sviluppo della città. Dalla grande piazza, luogo monumentale di accoglienza per chi giungeva dalla stazione, attraverso l’ampia percorrenza di via Nazionale, con l’attuazione del prolungamento fino a piazza Venezia, ci si ricollegava al cuore storico della città.

Le scelte urbanistiche, la collocazione degli edifici rappresentativi, i risultati dei concorsi, provocarono in quegli anni un accesissimo dibattito attorno alla edificazione di una città moderna che necessariamente si inseriva in un tessuto urbano molto complesso, dove ogni scelta rischiava di essere una pesante frattura. "Roma, scriveva il sindaco Luigi Pianciani nel 1882, è il primo museo del mondo, ma non è una capitale che soddisfi i bisogni del presente… Non è un Comune da amministrare, è la massima delle metropoli antiche da rispettare, una metropoli moderna da creare".

Il concorso per il Palazzo delle Esposizioni Nazionali di Belle Arti si situa proprio in questo contesto: quello di provvedere alla costruzione di edifici particolarmente rappresentativi, e di dotare la città di tutte quelle strutture necessarie alla nuova funzione di capitale. Quindi, la volontà di realizzare un edificio che esaltasse la vocazione culturale della città, primo in Italia totalmente dedicato alle Belle Arti, pur non essendo museo, allo scopo di documentare con continuità la storia artistica passata e presente e al tempo stesso capace di confrontarsi con i grandi modelli europei.
Un primo concorso fu bandito nel 1876, non vi viene stabilita la designazione dell’area, lasciata alla libera scelta dei progettisti (ci fu chi propose piazza del Popolo) né l’entità della cifra che sarebbe stata stanziata. Un bando molto generico che dava soltanto alcune indicazioni di consistenza; si legge infatti: "Il fabbricato per l’Esposizione nazionale predetta dovrà occupare, sopra un’area da designarsi, lo spazio di metri quadrati 4.000, avrà due soli piani e sarà possibilmente circondato da giardini". Quaranta furono i progetti presentati, esposti al Collegio Romano. Poco più di un anno dopo venne bandito un secondo concorso con l’indicazione dell’area di via Nazionale considerata la collocazione più idonea per il carattere rappresentativo che l’edificio doveva avere e quindi non a caso inserito in quella zona di preminenza urbana che rappresentava l’asse di accesso alla città storica. Settantaquattro furono i progetti presentati.

Dopo molte polemiche e non senza indecisioni all’interno della commissione giudicatrice, vincitore risultò il progetto di Pio Piacentini contrassegnato con il motto "Sit quod vis simplex et unum". I lavori della costruzione furono avviati soltanto nel 1880 e l’edificio venne inaugurato, con una cerimonia solenne, nel 1883.

Pio Piacentini era nato a Roma nel 1846 e nella sua formazione di architetto presso l’Accademia di San Luca, di cui fu poi presidente, assorbì quella tendenza purista che aveva dominato la città sotto Pio IX. Nei suoi progetti, come in quelli di molti altri architetti romani a lui contemporanei, eredi di una cultura accademica, vi è una particolare attenzione per il disegno, piuttosto che per il contesto urbano in cui l’edificio si dovrà collocare. Per quanto riguarda il Palazzo delle Esposizioni, Piacentini era comunque consapevole di questo problema (la ristrettezza dello spazio, il limitato margine di accesso sulla strada, il dislivello per l’abbassamento di via Nazionale, accentuato poi con la costruzione del traforo) e, come vedremo, successivamente cercherà delle soluzioni che non verranno realizzate.

2. I caratteri del progetto e il dibattito sullo stile

Sezione del progetto di Pio Piacentini

L’edificio appare come una massa imponente, caratterizzata dalla profonda apertura ad arco e dalla sequenza della statue (collocate successivamente) sulle colonne e sulle lesene che scandiscono le superfici piene. L’effetto monumentale è concentrato soprattutto nella parte centrale della facciata, mentre l’arretramento del piano superiore, le masse compatte che definiscono i prospetti, e gli spazi interni, sembrano ancora derivare da suggestioni puriste. In confronto ad altri progetti presentati al concorso, quello di Piacentini è certamente il meno eclettico, dove la tradizione classicista (l’apertura ad arco di trionfo, la scansione a lesene delle pareti esterne, la centralità e la simmetria degli spazi all’interno) viene mitigata dalla ricerca di uno stile internazionale.


Il problema dello stile era alla base del dibattito architettonico dell’epoca, e il concorso per il Palazzo delle Esposizioni fu appunto caratterizzato da un acceso scontro su questo tema. "Un edificio senza finestre" fu uno dei motivi di più forte polemica, l’influenza "francese" piuttosto che l’adesione ad uno stile nazionale causò contrasti all’interno della stessa commissione giudicatrice, ma soprattutto sollevò una campagna di stampa aspramente critica.

La ricerca di uno stile nazionale coincideva per lo più con un recupero degli stili storici, dove il classicismo non era più riferimento esclusivo e dominante. Nel processo di trasformazione della struttura urbana di Roma, dalla viabilità, agli edifici rappresentativi, all’edilizia abitativa, prevalsero però concezioni poco consone alla tradizione della città. Gli interventi direzionali, dove possibile anche con cospicui sventramenti, l’apertura di ampie strade e viali rettilinei, la costruzione di edifici pubblici dalle masse compatte, di case d’abitazione che, sia pure con caratteri più modesti, ne riprendevano le forme, sono un evidente riferimento alle trasformazioni di Parigi sotto Napoleone III (e alla tradizione piemontese). Ma la preminenza della città storica non poteva che turbare un progetto complessivo di questo tipo e quindi rendere quanto mai difficile quell’equilibrio tra antico e moderno sottolineato da Pianciani come vocazione di Roma Capitale.

In realtà le critiche rivolte al progetto non colgono il carattere più significativo dell’intervento. La mancanza di finestre è voluta per creare all’interno superfici continue che assolvano al massimo le esigenze espositive, le trasparenze delle coperture in ferro e vetro permettono la luce naturale dall’alto che si riteneva la più consona alle funzioni dell’edificio. La simmetria dell’impianto, la convergenza di sei ampie sale verso la rotonda centrale, la specularità delle due parti dell’edificio che ne permettono una rilettura continua e una percorrenza lineare sia orizzontalmente che verticalmente definiscono uno spazio aperto, ma convergente verso il centro, dove il carattere aulico è riscontrabile soprattutto negli elementi decorativi (gli stucchi, il cassettonato dei soffitti, la marmoridea che riveste parte del colonnato).

Costantino Dardi, l’architetto che cent’anni dopo ha restaurato il Palazzo riportandolo quanto più possibile all’integrità del progetto originario, così descriveva lo spazio interno, uno spazio "soprattutto segnato dal tema della visibilità: guardare e traguardare appare obiettivo costante della progettazione, dalla strada verso l’interno e dall’interno verso strada, dall’alto in basso e dal basso in alto, dalle scale alle sale e dalle sale alle scale, aprendo prima lo sguardo alle viste lunghe e successivamente diaframmando queste con telai, cornici, riquadri, schermi che in alcune aree virano alla penombra la luminosità del palazzo".

Nella parte posteriore l’edificio era coperto da un’ampia volta in ferro e vetro (che verrà modernamente riproposta nell’attuale progetto di ristrutturazione), uno spazio trasparente che, nell’intenzione del progettista, ricollegava l’interno con i giardini all’esterno verso il Quirinale. Il tema del collegamento con le aree esterne fu una delle principali preoccupazioni di Piacentini: come risolvere l’angustia dello spazio destinato all’edificio, che sacrificava il progetto e ne rendeva incongruo il carattere monumentale. Una prima idea di Piacentini fu di smontare la chiesa di San Vitale e riedificarla all’interno di un giardino creando un ampio spazio attorno all’edificio; in un secondo momento pensò di riallineare la chiesa all’asse stradale e di portarla allo stesso livello del Palazzo. Infine, cosciente dell’isolamento dell’edificio, accentuato dall’abbassamento della strada per la costruzione del traforo, ideò una scalinata di accesso a doppia rampa che abbracciasse, quasi un richiamo barocco, la base dell’edificio stesso. Questi progetti non furono approvati e quindi l’architetto si limitò a realizzare due ulteriori livelli della scalinata esterna.
Le statue furono collocate alla fine degli anni ottanta e rispondono comunque ad una intenzione decorativa voluta dall’architetto stesso. Si tratta di scultori accademici (Cencetti, Biggi, Aureli, Trabacchi, Ferrari, Galletti e altri) e i soggetti sono altrettanto accademici: in alto l’arte sorretta dalla pace e dallo studio, sui quattro pilastri del portico architettura, scultura, pittura, arte industriale, lungo le balaustre dodici artisti del passato.

Il Palazzo fu inaugurato il 21 gennaio 1883, alla presenza del Re, con una grande cerimonia. La mostra inizialmente doveva essere riservata ai soli artisti italiani, poi allargata alla presenza, limitata e di modesto rilievo, di alcuni artisti stranieri. L’esposizione aveva un evidente significato politico e testimoniava un clima culturale fortemente accademico e passatista. I soggetti delle opere erano tratti per lo più da episodi di storia romana, enfatizzati nel loro significato simbolico, dalle recenti battaglie risorgimentali, o da temi inspirati alle origini del cristianesimo. Quindi, anche nella ricerche dei soggetti, un accorto bilanciamento tra elementi laici e tematiche religiose. I quadri di paesaggio rivelavano poi un accademismo così lontano dalla ricerca del vero che ormai, con l’avvento dell’impressionismo, si andava via via affermando in Francia e in altri paesi europei, influenzando perfino le scelte dei Salon ufficiali.

3. Gli interventi degli anni Trenta e le prime Quadriennali

Lavori di demolizione della serra  | 1930
Lavori di demolizione della serra  | 1930

Fin dall’anno successivo alla inaugurazione, il Palazzo delle Esposizioni divenne per oltre tre decenni sede permanente delle mostre della Società degli Amatori e Cultori di Belle Arti, una associazione fondata nel 1829 con la pretesa di accogliere gli artisti più rappresentativi che operavano a Roma, insieme ad esponenti del potere, nobili, mecenati, intellettuali, accademici. Una società nata nel clima della Roma papale, di cultura conservatrice, prevalentemente rivolta all’ambiente artistico romano, anche se sostenuta da personalità come Bertel Thorvaldsen, Horace Vernet, alla cui presidenza onoraria era stato eletto il re Ludwig di Baviera. Le mostre rispecchiavano una visione estremamente conservatrice, anche rispetto ad altre sedi della cultura artistica in Italia, e quindi a Roma mancò quella funzione di vetrina internazionale che di lì a pochi anni assunse invece la Biennale di Venezia.

 

Un tentativo di aggiornamento fu fatto con le quattro edizioni della Esposizione Internazionale d’Arte della Secessione, che ebbero luogo al Palazzo delle Esposizioni dal 1913 al 1916, con il proposito appunto di documentare, sia pure con un certo ritardo, quanto avveniva all’estero e il lavoro di quegli artisti che in Italia si ispiravano nei diversi campi, dalla pittura alla scultura, all’architettura, alle arti applicate, ad un modernismo diffuso. A Roma non si era in effetti avvertito quel fenomeno di profondo rinnovamento del gusto, delle concezioni artistiche e delle forme espressive rappresentato in Francia, in Germania, in Austria e in altri paesi europei dalle diverse Secessioni.

Nel 1927 il Governatorato di Roma deliberò l'istituzione delle Esposizioni Quadriennali d’Arte Nazionale, con sede al Palazzo delle Esposizioni, la cui prima mostra si sarebbe dovuta inaugurare il 1° marzo 1931. Nella stessa delibera, oltre ad indicare i membri che avrebbero dovuto far parte del comitato organizzativo presieduto dal Governatore (rappresentanti dell’Accademia di San Luca, della Società degli Amatori e Cultori di Belle Arti, dell’Associazione artistica internazionale e artisti designati da varie istituzioni), viene anche definito lo stanziamento di bilancio: lire 250.000 annue e quindi un milione per ogni edizione della mostra. Si fa inoltre riferimento alla volontà di istituire premi e di destinare una somma significativa agli acquisti di opere per la Galleria Nazionale. La prima Quadriennale, sotto la direzione di Cipriano Efisio Oppo segretario generale, si inaugurò il 3 gennaio 1931, addirittura in anticipo rispetto a quanto precedentemente stabilito. Le opere vennero selezionate da due giurie composte da artisti, una nominata dal comitato organizzatore e l’altra da rappresentanti degli stessi artisti espositori. I primi premi furono dati ad Arturo Tosi e ad Arturo Martini, importanti retrospettive furono dedicate a Medardo Rosso, ad Armando Spadini e ad Antonio Mancini da poco deceduto.

Nel 1930 erano iniziati i lavori di ristrutturazione del Palazzo delle Esposizioni per adeguare gli spazi alle esigenze della mostra. Come si legge nelle cronache dell’epoca e nelle vari sedute della commissione, si rendeva necessario aumentare le sale espositive, realizzare gli ascensori, modificare i lucernai, provvedere ad un impianto di riscaldamento che regolasse il clima interno, troppo freddo d’inverno troppo caldo d’estate, perciò si decise di abbattere la serra "brutta e costosa tettoia da stazione ferroviaria". Incaricati dei lavori furono gli architetti Del Debbio e Aschieri: al primo si deve la demolizione della serra e la costruzione di un solaio, così da ricavare, nel piano sottostante altre sei sale espositive attorno ad un ambiente centrale. In questo modo l’architetto riprendeva, sia pure in termini più contenuti, l’impianto stesso realizzato da Piacentini per la parte principale dell’edificio, riproponendo al tempo stesso quella specularità che caratterizzava l’intero progetto. L’allestimento di Aschieri (che allestirà anche la seconda edizione della Quadriennale) annullava l’effetto monumentale dell’edificio ricercando un equilibrio razionale, sobrio ed elegante, in cui le opere avevano una precisa visibilità e cornice.
Commentando i lavori del palazzo e l’allestimento della mostra, l’architetto Luigi Piccinato sottolineava come Aschieri e Del Debbio avessero "ridato vita ai grandi saloni di via Nazionale. Proporzionando ambienti, disponendo tramezzi, smorzando luci, attenuando le ombre, la grande falange dei quadri è venuta a trovarsi ordinata ed esaltata in un ambiente pacato, semplice, signorile e riposante. Negli ambienti di rappresentanza poi, e cioè nel Vestibolo, nel Giardino d’Inverno, nelle scale, nei corridoi, là dove il tono neutro non era più necessario, essi hanno potuto liberamente fare dell’architettura" (nella rivista Domus, marzo 1931). La mostra, che Mussolini definì "storica", ebbe un notevole successo di critica e di pubblico (oltre 200.000 visitatori) e molto furono apprezzati i lavori di ristrutturazione, confermando così la definitiva destinazione del palazzo a sede delle Quadriennali.

Episodio particolarmente significativo dell’attività espositiva di quegli anni fu la Mostra della rivoluzione fascista, promossa dal partito nazionale fascista nell’anniversario del primo decennale della marcia su Roma. La mostra fu inaugurata infatti il 28 ottobre del 1932 e i lavori di preparazione furono regolarmente sottoposti all’approvazione del duce, che la definiva come la "documentazione sacra, suggestiva e solenne" della genesi, degli sviluppi e delle mete raggiunte dal fascismo. La mostra, come è ovvio, aveva infatti un esclusivo scopo propagandistico e celebrativo, ma rappresentò anche uno straordinario evento di ideazione espositiva. Si legge nel catalogo: "Al carattere monumentale della mostra non poteva non convenire una maniera architettonica, diciamo così, scenografica, atta a suscitare l’atmosfera dei tempi, tutta fuoco e febbre, tumultuosa, lirica, splendente". Traspare in queste parole ancora un clima futurista, che indubbiamente si rifletteva non solo in molte delle opere esposte, ma nell’impaginazione delle mostra stessa, dovuta alla collaborazione tra artisti (Nizzoli, Funi, Maccari, ma soprattutto Sironi) e architetti (Terragni, Libera, Valente), e la facciata esterna, progettata da De Renzi e Libera, testimoniava, sia pure nel formalismo e nel carattere esplicitamente ideologico dell’intervento (i fasci in metallo alti 25 metri), una cultura architettonica di ambito europeo.

La mostra avrebbe dovuto essere trasferita come sede permanente nel Palazzo del Littorio, che non fu costruito, e quindi si protrasse all’interno del Palazzo delle Esposizioni per circa due anni, di modo che la seconda edizione della Quadriennale fu organizzata in tempi strettissimi ed inaugurata il 5 febbraio 1935. L’intervento allestitivo fu affidato agli architetti Aschieri e Montuori; venne riportata alla luce la facciata di Piacentini e ci si limitò, nell’atrio a colonne, ad un sobrio portale di accesso. Nell’interno, il rivestimento della rotonda centrale, i velari delle coperture, le tre gradazioni di grigi delle pareti espositive, creavano un’atmosfera quasi metafisica di grande suggestione, dove furono collocate 1800 opere tra pittura, scultura e bianco e nero. Molte le mostre personali (tra cui quella dedicata a Scipione, morto due anni prima), con una particolare attenzione ai giovani artisti e alle diverse tendenze, da quella tardo futurista, a quella degli astrattisti che avevano il proprio epicentro a Milano alla Galleria del Milione, a quelle più conservatrici. Importante la presenza degli artisti della Scuola romana, soprattutto di Mafai che ebbe una sala con 29 opere e fu premiato per il dipinto Lezione di piano.

III Quadriennale d'arte

Nel 1937, con regio decreto l’Esposizione Nazionale Quadriennale d’Arte di Roma fu trasformata in ente autonomo con un proprio statuto sottoscritto dal Ministro per l’educazione nazionale Giuseppe Bottai. La terza edizione della mostra, inaugurata il 5 febbraio 1939, fu quindi direttamente gestita dall’Ente, posto sotto la tutela del Ministero dell’educazione nazionale e del Ministero delle corporazioni, che, ottemperando alle leggi razziali emesse l’anno precedente, richiesero una strettissima vigilanza e documentazione sulle origini di ogni artista, con la compilazione di schede personali. Una mostra piuttosto confusa, e soprattutto compromessa da una pesantissima intromissione politica, che rispecchiava comunque una situazione di crisi in campo artistico. L’allestimento fu realizzato dagli architetti Mario Paniconi e Giulio Pediconi con una certa cura nei particolari, aumentando il numero delle sale e soprattutto ponendo attenzione ad una chiara visibilità delle opere, alla misura e al decoro generale degli ambienti. Importante la presenza di Giorgio Morandi e la sezione della mostra dedicata alla aeropittura e aeroscultura futuriste.
La quarta edizione della Quadriennale si aprì a maggio del 1943, in piena guerra, e fu l’ultima sotto la direzione di Cipriano Efisio Oppo. Un'edizione molto ridotta (solo una parte delle sale venne utilizzata), allestita dall’architetto Ernesto Puppo e dall’ingegnere Alessandro Mangioni. Importante la presenza delle opere di Enrico Prampolini e dei pittori futuristi. I premi maggiori furono assegnati a Vagnetti e a Manzù. Alla fine della guerra il Palazzo delle Esposizioni fu occupato dagli uffici annonari e l’Ente Autonomo Quadriennale fu posto sotto commissario.

4. Gli anni del dopoguerra e le mostre degli anni cinquanta e sessanta

VI Quadriennale d'arte  | 1951
VI Quadriennale d'arte  | 1951

Gli anni del dopoguerra sono stati contrassegnati da una intensa ripresa delle attività culturali a Roma. Le mostre promosse dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, le tante iniziative delle gallerie private, la formazione di gruppi di tendenza, gli scontri tra astratti e figurativi, sono tutti elementi che contribuirono a creare quel clima di fervore e di attivismo che rese Roma, negli anni cinquanta, una città internazionale, meta di artisti stranieri.


La prima Quadriennale del dopoguerra fu organizzata alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, sotto la direzione del commissario, lo scultore Francesco Coccia, in quanto il Palazzo delle Esposizioni era stato reso praticamente inagibile dalle più disparate occupazioni.

Dopo la Mostra della Ricostruzione, promossa dal Ministero dei Lavori Pubblici nel 1950, e la ricomposizione dell’Ente Quadriennale con la nomina di Fortunato Bellonzi a segretario generale, si provvide al restauro dell’edificio, i cui lavori di ripristino delle sale e di allestimento della mostra furono affidati all’ingegnere Giacomo Maccagno, dipendente del Comune di Roma, e all’architetto Adolfo Bobbio, mentre Mario Bellina curò la sistemazione del bar e delle sale di accoglienza. Furono ripresi gli stucchi e gli intonaci, ripristinati i pavimenti, liberata la rotonda centrale, revisionati gli impianti, oscurati con velari i lucernai, aumentate le superfici espositive con molte tramezzature mobili che furono in seguito utilizzate per altre mostre. La VI edizione della Quadriennale fu quindi inaugurata il 18 dicembre del 1951; molte le mostre retrospettive tra cui quella di Modigliani curata da Jean Cassou.

Sempre negli anni cinquanta sono da ricordare due mostre molto importanti che ebbero sede nel Palazzo delle Esposizioni: quella del Seicento Europeo promossa dal Consiglio d’Europa (novembre 1956 – febbraio 1957), una mostra oggi irripetibile per dimensione e importanza dei prestiti provenienti da musei di tutto il mondo, e quella del Settecento a Roma nel 1959 che raccoglieva 2.600 opere, tra cui 600 dipinti, oltre a sculture, oggetti di oreficeria, arredi, e le più varie testimonianze della vita culturale dell’epoca.

La mostra Arte messicana dall’antichità ai nostri giorni (ottobre 1962 – gennaio 1963) fu un altro evento espositivo eccezionale: una documentazione vastissima delle culture precolombiane, del barocco latino americano, fino alle opere, nel piano superiore del Palazzo, degli artisti contemporanei, da Rivera a Siqueiros a Orozco a Rufino Tamayo a Frida Kahlo, alla produzione artigianale, ecc. Con queste mostre si chiuse un ciclo eccellente sul piano espositivo che non avrà seguito negli anni sessanta, quando le attività nel Palazzo delle Esposizioni, tranne le mostre della Quadriennale, si ridussero essenzialmente ad un coacervo di inutili, modestissime iniziative.
Tra gli anni cinquanta e gli anni sessanta si svolsero la VII, la VIII e la IX Quadriennale (1955, 1959, 1965). La polemica tra astrattisti e realisti fu alla base della VII Quadriennale, con posizioni critiche fortemente contrastanti. Al centro dell'esposizione un nucleo importante di dipinti e sculture ricostruiva il panorama dell’arte italiana dal 1910 al 1930. Numerose le retrospettive, tra cui quella di Savinio curata da Giorgio de Chirico, quella dedicata ad Atanasio Soldati curata da Nello Ponente ed altre. Un'esposizione che raccoglieva circa 3000 opere tra scultura, pittura e bianco e nero, decisamente, a detta di molti, la migliore tra quelle degli anni del dopoguerra.
La VIII Quadriennale ebbe luogo da dicembre 1959 ad aprile 1960, e fu allestita dagli architetti Melis e Clerici. Al centro una importante mostra dedicata alla giovane pittura romana dal 1930 al 1945, curata da Giorgio Castelfranco ed Emilio Lavagnino, mentre la commissione per gli inviti fu fortemente contestata da un folto gruppo di artisti legati principalmente alle ricerche astratte e informali (tra cui Vedova, Turcato, Leoncillo, Burri, Dorazio, Afro, Mastroianni…). Le retrospettive dedicate a Balla, curata da Enzo Francia, a Licini, curata da Giuseppe Marchiori, a Prampolini, curata da Vittorio Orazi, a Spazzapan, curata da Fortunato Bellonzi e Renzo Romero, contribuirono a riequilibrare un clima infuocato.

La IX Quadriennale fu inaugurata nel mese di ottobre del 1965 e allestita da Mario Melis. Molte le mostre retrospettive, tra cui quelle di Morandi, di Mafai, di Sironi, di Casorati, di Donghi, di Fortunato Depero, di Romagnoni e di Tancredi. Presenti nella mostra le ultime tendenze della ricerca artistica, dalla nuova situazione romana, rappresentata da Angeli, Festa, Ceroli, all’arte cinetica. Premiati tra gli altri furono Mirko, Alberto Viani, Turcato e Perilli.

5. Dalle mostre degli anni Settanta all’intervento di restauro

Per oltre un decennio il Palazzo delle Esposizioni divenne sede di alcune delle mostre più importanti in Italia, mettendo in pratica un progetto espositivo che tendeva ad una continuità di utilizzazione degli spazi e ad una programmazione dovuta prevalentemente al Comune di Roma, oltre alla cinque sezioni della X Quadriennale che si distribuirono tra dicembre 1972 e luglio 1977.


Prima importantissima iniziativa quella dedicata alle ultime ricerche in atto dal titolo Vitalità del negativo nell’arte italiana 1960/70, curata da Achille Bonito Oliva e dagli Incontri Internazionali d’Arte. Una mostra che non intendeva ricostruire asetticamente gli eventi di un decennio, ma come dalla crisi dei linguaggi storici, dalla ricerca e dalla varietà dei procedimenti, non più tesi a valori assoluti, fossero nate poetiche nuove basate sulla vitalità dell’atto creativo: "L’arte smette di essere la zona dove si tesaurizzano le forme e l’esemplarità dell’esperienza artistica, per diventare invece una zona oscura senza alcuna certezza" (Achille Bonito Oliva).
Una mostra straordinaria, in cui confluivano le ricerche pop degli artisti romani, l’arte concettuale, gli happening e la body art, i materiali dei minimalisti, l’arte cinetica, e le recenti esperienze dell’arte povera.

La X Quadriennale iniziò a novembre del 1972 e si sviluppò in cinque sezioni che intendevano documentare i diversi aspetti della ricerca artistica in Italia: 1) Aspetti dell’arte figurativa contemporanea – Nuove ricerche d’immagine; 2) Situazione dell’Arte non figurativa; 3) La ricerca estetica dal 1960 al 1970; 4) La nuova generazione; 5) Artisti stranieri operanti in Italia. Accanto agli artisti invitati in ciascuna sezione, venivano ricostruite, per le prime due mostre, anche le vicende storiche da cui avevano preso le mosse le relative tendenze: La linea della ricerca figurativa in Italia dal verismo dell’ultimo ottocento al 1935 nell’ambito delle sezione sull’arte figurativa, e Linee della ricerca non figurativa in Italia dal 1930 al 1965, coordinata da Nello Ponente, come ricostruzione dell’astrattismo in Italia.

Il progetto delineato dal Comune di Roma in quegli anni era, accanto alle mostre d’arte antica (da ricordare in particolare Civiltà del Lazio primitivo del 1976), di dedicare particolare attenzione agli aspetti più interessanti della cultura del novecento, sia attraverso grandi retrospettive (quella dedicata a Turcato, 1974, a Man Ray, 1975, a Savinio, 1978), sia attraverso la indagine all’interno delle avanguardie europee, con la mostra Majakovskij Mejerch’old Stanislavskij, 1975, allestita da Maurizio Di Puolo secondo una rilettura di moduli costruttivisti che si proiettavano verso l’esterno del palazzo, con la mostra sul Teatro della Repubblica di Weimar nel 1978. Queste mostre, a carattere interdisciplinare, permettevano poi di utilizzare tutte le potenzialità degli spazi, con spettacoli, convegni, esecuzioni musicali, proiezioni, come nel caso della mostra sull’Avanguardia polacca nel corso della quale Tadeusz Kantor anticipò il suo spettacolo Ou sont les nieges d’antan.
Così descriveva Nicolini, allora Assessore alla cultura, i contenuti delle linee espositive di quegli anni: "Al centro dei programmi allora realizzati dovevano esserci due grandi questioni: le sorti dell’avanguardia e la funzione intellettuale, nel XX secolo. Naturalmente non si trattava di aggiungere ideologia ed interpretazioni a quelle che già esistevano, ma di documentare quanto era conosciuto in maniera parziale".

Con gli stessi propositi era stata realizzata la mostra Linee della ricerca artistica in Italia 1960-1980, curata da Nello Ponente, titolare della cattedra di arte contemporanea all’Università di Roma, scomparso durante la preparazione della mostra. In questo caso si trattava di una documentazione molto ampia di quello che era accaduto in Italia nei diversi settori della produzione artistica: dalle arti visive, alla fotografia, alla scrittura musicale, alla poesia visiva, al cinema d’artista.

Le mostre di architettura rispecchiavano la volontà di approfondire l’analisi sulla formazione della città contemporanea; mostre che resero spettacolare e suggestivo un tema, quello dell’architettura, non sempre accessibile al pubblico: Funzione e senso. Architettura-Casa-Città, Olanda 1870-1940, nel 1979; Vienna Rossa. La politica residenziale nella Vienna socialista 1919-1933, realizzata nel 1880 e curata da Manfredo Tafuri; Architettura nel Paese dei Soviet, 1982. Con la caduta di frammenti degli stucchi in occasione della mostra Cinque miliardi di anni. Ipotesi per un Museo della Scienza, organizzata con l’Università di Roma e allestita da Maurizio Sacripanti, e successivi danni, si comprese che non si poteva procrastinare più a lungo un sostanziale intervento di ristrutturazione dell’intero edificio, di cui fu incaricato l’architetto Costantino Dardi.

Sezione longitudinale del progetto  | Costantino Dardi
Sezione del progetto  | Costantino Dardi

Elementi chiave di questo progetto erano: recuperare le qualità originarie del Palazzo, liberando gli spazi di tutte quelle aggiunte improprie accumulatesi negli anni, restituire il rapporto con la luce naturale dall’alto, riproporre la visione verticale, attraverso la ricongiunzione dei tre livelli dell’edificio, e quella degli spazi in quota (riapertura delle due scale interne di accesso dal livello di via Milano al piano monumentale, delle balconate interne che permettono la percezione degli spazi dall’alto in basso e viceversa, ricomposizione di quella direzionalità ininterrotta di collegamento interno dall’accesso da via Nazionale all’affaccio su via Piacenza). Quindi un restauro critico, che però doveva trasformare un edificio costruito secondo i canoni ottocenteschi in una struttura capace di rispondere alle più moderne esigenze espositive.

I lavori, che si protrassero per anni a causa di difficoltà burocratiche e finanziarie, non portarono a termine quanto l’architetto aveva ideato, soprattutto in relazione ai più forti elementi di innovazione contenuti nel progetto. Tra questi il sistema di copertura, trasparente, aereo, che prevedeva anche un teatro all’aperto, era certamente uno degli elementi di maggiore fascino del progetto, che però fu bocciato per ben due volte dalla commissione edilizia; così come le strutture collocate in sostituzione dei lucernai, grandi "macchine di luce" che dovevano graduare la luminosità naturale con quella artificiale attraverso un sistema di telai mobili, furono realizzate senza i meccanismi di regolamentazione automatica e quindi del tutto inefficaci.

Molti altri furono gli aspetti caratterizzanti di questo intervento (il disegno geometrico dei pavimenti in travertino e peperino, il recupero della marmoridea di rivestimento e delle parti decorative originarie), ma soprattutto la realizzazione di una sala multimediale e di un piccolo, ben attrezzato spazio teatrale nella linea di un'attività multidisciplinare che era all’origine del progetto: una Kunsthalle per Roma, aperta alle più avanzate esigenze della cultura contemporanea.

 6. L'attività degli anni Novanta. Verso una gestione autonoma

Il Palazzo delle Esposizioni fu riaperto nel 1990 con tre mostre che utilizzavano i tre livelli dell’edificio: al piano monumentale La grande Roma dei Tarquini, curata dalla Soprintendenza comunale, al piano superiore Peter Paul Rubens, al piano inferiore una mostra dedicata a Mario Schifano, evidenziando così la molteplicità degli eventi espositivi che simultaneamente potevano aver luogo nel palazzo, ed anche la tendenza ad affrontare al tempo stesso temi di arte antica e contemporanea. Nel 1990 iniziò anche un ciclo di mostre di ricognizione sui giovani artisti, che durò fino alla quinta edizione.


Il tema di Roma, come analisi della cultura e della storia della città, è stato in questo decennio, ed oltre, tra i filoni più continuativi: nelle arti visive (con la mostra Roma anni '60: al di là della pittura, e con quella dal titolo Tutte le strade portano a Roma, una sorta di omaggio alla città nel campo dell'arte, della fotografia, del cinema, della grafica, della poesia); nella ricostruzione di momenti particolarmente significativi nella storia della città: con la mostra Roma sotto le stelle del '44, storia cronaca e cultura dalla guerra alla liberazione, su un periodo drammatico ma, nonostante tutto, culturalmente assai vitale, esaminato cinquant'anni dopo; con la mostra Roma 1948-1959. Arte, cronaca e cultura dal neorealismo alla dolce vita, realizzata nel 2002, che attraverso una grande quantità di opere, di oggetti di arte applicata, di documenti, e una sterminata massa di fotografie e di filmati, ricostruiva uno dei periodi più fervidi nella storia della città. Infine, per quanto riguarda l'archeologia, la mostra Aurea Roma documentava l’età tardo antica dalla Roma imperiale fino all'avvento del cristianesimo con oltre 400 reperti ed opere di straordinaria bellezza.
Sono state realizzate importanti retrospettive dedicate a grandi artisti italiani del novecento tra cui Giorgio de Chirico pictor optimus, nel 1992; Alberto Burri: opere dal 1944 al 1955, nel 1996; Enrico Prampolini: dal futurismo all’informale, nel 1992; Fortunato Depero: dal futurismo alla casa d’arte, nel 1994 (queste ultime due hanno anticipato la grande mostra sul Futurismo 1909-1944 realizzata al Palazzo delle Esposizioni nel 2001 in collaborazione con il Museo Sprengel di Hannover). Un importante evento fu la mostra di Richard Long nel 1994: otto installazioni appositamente realizzate dall’artista per gli spazi del Palazzo delle Esposizioni.

Impossibile elencare tutte le mostre fatte in questi anni, da quelle di archeologia (Lisippo l'arte e la fortuna, 1995; Ulisse il mito e la memoria, 1996), di arte del passato (Tiziano. Amor sacro e amor profano, nel 1995; El Greco. Identità e trasformazione, nel '99; la mostra dedicata all'opera di Francesco Borromini, nel 1999, e quindi ancora un tema incentrato nella città di Roma; L'idea del Bello. Viaggio per Roma nel Seicento con Giovan Pietro Bellori, una mostra bellissima sul filone classicista dell'arte del XVII secolo e sui rapporti con l'antico, allestita dall'architetto Lucio Turchetta e curata dal Ministero per i Beni Culturali. Infine vanno ricordate due mostre originali nell'elaborazione dei materiali e nella comunicazione: quella di Studio azzurro nel 1999, che invase le sei sale principali del palazzo con installazioni multimediali interattive, e Le Temps, una mostra ideata dal Centre Pompidou di Parigi, anche in questo caso realizzata con interventi multimediali accanto ad opere di artisti contemporanei.

Con la XII Quadriennale riprese, nel 1992, l'attività dell'Ente all'interno del Palazzo delle Esposizioni (quella precedente, avvenuta durante i restauri, era stata allestita al Palazzo dei Congressi all'EUR). Questa edizione, intitolata Profili, doveva svolgersi in varie sezioni: la prima, dedicata a soli 33 artisti di varie tendenze, la seconda, inaugurata nel settembre 1996 in due sedi (Palazzo delle Esposizioni e Ala Mazzoniana alla Stazione Termini), allestite da Massimiliano Fuksas, presentava le ultime generazioni e rifletteva negli inviti, anche in questo caso, le diverse scelte critiche. Infine, nel giugno 1999, con Proiezioni 2000. Lo spazio delle arti visive nella civiltà multimediale, la XIII edizione della Quadriennale, allestita da Enzo Serrani, tentava di registrare tutte le tendenze in atto, in una mostra tipo Salon (come dichiarato da Lorenza Trucchi allora Presidente dell'Ente Quadriennale).

7. Funzioni e programmi dell'Azienda Speciale Palaexpo

Con la costituzione dell'Azienda Speciale Palaexpo nel 1998, il Palazzo delle Esposizioni ha assunto un ruolo di primo piano nell'ambito delle attività culturali promosse dal Comune di Roma. Si è trattato della prima Azienda in campo nazionale dedicata esclusivamente alla cultura, con una prevalenza delle arti visive. Questa scelta è stata determinata dalla necessità di potenziare uno spazio unico nel contesto cittadino, come dimensioni e come molteplicità di funzioni, attraverso una sorta di autonomia che garantisse una più agile gestione dal punto di vista amministrativo, e soprattutto l'elaborazione e l'attuazione di programmi culturali decisi all'interno della struttura.


L'attività svolta in questi anni ha tenuto conto, in primo luogo, delle caratteristiche dei diversi spazi, diversificandoli, e delle percorrenze. Non avendo, infatti, un luogo di accoglienza per il pubblico, è stato reso accessibile, senza pagare il biglietto, l'attraversamento dell'asse centrale, dall'entrata fino all'ala posteriore, dove si svolgevano i servizi (ristorazione, libreria, oggettistica), riproponendo quel collegamento in orizzontale, voluto da Piacentini "dalla strada verso l'interno e dall'interno verso la strada", nel tentativo di favorire un'osmosi tra spazi interni e spazi esterni. Particolarmente significativa è stata poi la scelta di caratterizzare gli ambienti secondo i diversi tipi di attività espositiva, proposito generalmente mantenuto a meno che la dimensione delle mostre non richiedesse uno sconfinamento. Nel piano monumentale sono state allestite le grandi mostre di arte antica, moderna e contemporanea, a cui si è accennato nel capitolo precedente, spesso a carattere interdisciplinare o con una grande varietà di materiali e di opere esposte.

Il piano superiore è stato idealmente diviso in due zone: nelle sale più grandi sono state esposte principalmente mostre monografiche (quelle già citate ed altre) o dedicate ad un preciso nucleo tematico come Il volto di Cristo organizzata in occasione del Giubileo del 2000. Nelle sale più piccole del piano superiore, spesso estendendosi anche allo spazio anulare di collegamento tra le due parti dell'edificio, sono state realizzate mostre di fotografia con una continuità eccezionale. Questo è stato un aspetto certamente innovativo nelle attività dell'Azienda Speciale Palaexpo ed ha costituito un caso esemplare per Roma, nel momento in cui la fotografia ha riacquisito un ruolo di primo piano, a livello internazionale, nel panorama delle iniziative culturali e nell'interesse del pubblico. Mostre molto varie, dalle personali (la prima grande antologica di Mario Giacomelli, poco prima della scomparsa del grande fotografo; Parigi+Klein; Francesca Woodman. Providence, Roma, New York; Gianni Berengo Gardin. Copyright; Herb Ritts, e molte altre), alle mostre sull'avanguardia e la sperimentazione nel campo della fotografia e nei rapporti con il mondo dell'arte come quella dedicata ad Alfred Stieglitz e i fotografi di Camera Work; ai grandi fotografi dell'Agenzia Magnum e ai reportage sugli eventi decisivi della società contemporanea: Magnum, testimoni e visionari. 1989-1999 il mondo in dieci anni di fotografia.

Altro aspetto fortemente innovativo nelle attività dell'Azienda Speciale Palaexpo è stato quello di dedicare uno spazio alle ricerche attuali nel campo dell'arte, affiancando spesso alle mostre altre iniziative, dagli spettacoli teatrali alla danza, a rassegne musicali, a performance, per creare un dialogo costante tra i differenti linguaggi creativi. Questa attività si è svolta negli spazi sottostanti del Palazzo delle Esposizioni (che verranno potenziati con il restauro), secondo due linee progettuali: la prima, denominata Project rooms, destinata ad ospitare mostre concepite attorno a progetti specifici appositamente creati per quello spazio. Inaugurata con un importante lavoro dell'americano Sol Lewitt, che aveva rivestito con grandi superfici di colore due sale, questa attività si è svolta nel corso di due anni con una serie di installazioni di artisti già affermati o emergenti, tra cui va ricordato il lavoro di Luca Vitone dedicato alla città di Genova, quello di Botto e Bruno consistente in una grande installazione fotografica, quello di Ugo Rondinone che aveva ricoperto di frammenti di specchi la fontana centrale e una parete.

L'altra linea di ricerca era invece rivolta in particolare a come le nuove tecnologie e i mezzi di comunicazione di massa hanno modificato il mondo dell’arte. Tra queste mostre la più significativa è stata Gravità Zero. Arte, tecnologia e nuovi spazi dell’identità, con la presenza di 13 artisti internazionali, dedicata appunto alle trasformazioni operate dai nuovi mezzi nella concezione stessa dell'arte e nei modi di operare.

Infine, sempre sul tema della tecnologia e dei consumi diffusi, Play. Il mondo dei videogiochi, che ricostruiva l'evoluzione di questa tecnica, ne presentava i personaggi più famosi, il fascino e l'attrazione dei racconti, delle immagini, coinvolgendo il pubblico a parteciparvi direttamente. Con questa mostra si è chiusa l'attività del Palazzo delle Esposizioni per iniziare i restauri.

8. Il progetto di ristrutturazione

Il progetto di ristrutturazione del Palazzo delle Esposizioni, ha seguito due linee cardine: la riqualificazione degli spazi e la necessità di adeguarli  funzionalmente e tecnologicamente, coniugando l'architettura monumentale dell'edificio piacentiniano con la volontà di introdurre elementi di innovazione contemporanea. Ne è risultata un'armonia perfetta tra monumentalità dell'edificio e contemporaneità dell'architettura.


I lavori di ristrutturazione sono partiti nel 2003, secondo la formula dell'appalto integrato. Il progetto definitivo è stato elaborato dall'architetto Firouz Galdo, mentre il Progetto esecutivo è stato realizzato dall'architetto Paolo Desideri, che è anche il progettista della Serra, spazio di 2000 metri quadrati complessivi, ricavato ex novo e di grande impatto emotivo, che ospita un ristorante per 250 persone. L'architetto Michele De Lucchi, direttore artistico del progetto, ha elaborato anche il progetto dell'illuminazione, degli arredi e della segnaletica.

Come si diceva, il progetto ha riguardato interventi di adeguamento tecnologico, in particolare il nuovo sistema di climatizzazione che consente oggi a Palazzo delle Esposizioni di essere in linea con gli standard tecnici internazionali richiesti dai musei prestatori delle opere, oltre al progetto di potenziamento della sicurezza delle opere e dei visitatori; al consolidamento delle strutture statiche dell'edificio, realizzato dall'architetto Paolo Rocchi, che ha comportato una lunga e complessa campagna di indagini e la realizzazione di interventi profondi di consolidamento.
I lavori di ristrutturazione e di consolidamento sono costati complessivamente 28 milioni di euro.

Il nuovo assetto funzionale del Palazzo prevede, tra l'altro, un allargamento rilevante degli spazi commerciali, la realizzazione di tre sale, Cinema, Auditorium e Forum, dotate di tecnologie avanzate.
La distribuzione degli spazi prevede che al piano terra, alla quota di via Milano, sotto l'area espositiva principale, siano concentrate prevalentemente le attività commerciali, che comprendono una libreria, centro specializzato per l'arte e merchandising dedicato, e una caffetteria, oltre agli spazi educativi.
Ai livelli superiori invece la concentrazione di sale e spazi espositivi per oltre 3000 metri quadrati.

I progettisti Firouz Galdo e Michele De Lucchi si sono a lungo interrogati su quel delicato e difficile equilibrio tra la presenza delle opere e il segno forte dell'architettura del Palazzo: per evitare che esso si confonda con l'allestimento e viceversa, gli spazi espositivi sono stati dotati di un sistema di pareti espositive verticali che riveste i muri delle sale e realizza un ideale fondo neutro e uniforme. Con questo gesto si  definisce l’area espositiva, si preserva l’edificio storico, il monumento, dall'invasività degli allestimenti temporanei e, al contempo, si libera l'allestimento dalla decorazione del monumento. Inoltre il comfort visivo è stato accresciuto dalla presenza di plafoni mobili contenenti i corpi illuminanti, appositamente disegnati da Michele De Lucchi, flessibili nell'utilizzo, che danno unità a tutti gli spazi e contribuiscono a diffondere, se necessario, la luce naturale proveniente dai lucernari.

A servizio delle funzioni espositive, l'edificio è stato dotato di nuovi ascensori per il pubblico e, separatamente, per le opere e per il personale, realizzando un montacarichi opere collegato a depositi, dogana e uffici, senza interferire con le sale museali.

Un grande sforzo, anche economico, è stato fatto nel dare risposta a tutti i problemi impiantistici di carattere generale: dalla qualità dell'aria, controllo microclimatico per le opere e per l'accoglienza del pubblico, a nuovi impianti per la sicurezza sia antintrusiva che antincendio.
Ma è solo varcando la soglia del Palazzo che il visitatore si rende conto del suo nuovo assetto che lo rende un luogo da vivere a tutte le ore e per tutti i gusti, con un'offerta culturale diversificata e multidisciplinare. Un'offerta popolare ma di qualità, aperta alle collaborazioni internazionali, al dialogo tra la nostra cultura e il resto del mondo.


 
Progetto preliminare e definitivo

Architetto Firouz Galdo - Azienda Speciale Palaexpo

Direzione artistica
Progetto di illuminazione
Progetto segnaletica
Progetto arredi
Architetto Michele De Lucchi

Progetto esecutivo del Palazzo
Architetto Paolo Desideri - ABDR - SAC

Progetto della Serra
Architetto Paolo Desideri - ABDR - SAC

Esecuzione delle opere
SAC e IGIT

Progetto di consolidamento dell’edificio
Architetto Paolo Rocchi

Progetto della sala Cinema e di Auditorium
Architetto Maurizio Pascucci

Progetto dell’Atelier e del Forum
Architetto Daniele Durante_studiobv36 e Architetto Adele Savino

Realizzazione e allestimento Atelier e Forum
Barth Innenausbau, Bressanone

Progetto della caffetteria
Architetto Luca Braguglia

Progetto della libreria

Architetto Firouz Galdo e Architetto Gabriele Pierluisi