Lo Städel e la sua collezione del XIX secolo

«Il fascino dell'Istituto Städel consiste in un'immensa energia concentrata in uno spazio ristretto. Vi è quasi tutto ciò che ha avuto origine dai grandi moti dell'animo dei popoli europei e tutto in opere di prim'ordine», così il direttore della Hamburger Kunsthalle Alfred Lichtwark espresse il suo entusiasmo per la collezione dello Städel Museum dopo una visita nel 1905. Il particolare charme dello Städel Museum e della sua collezione è rimasto intatto fino a oggi. La sua raccolta si fregia di capolavori che spaziano dall'inizio del XIV secolo al presente. Tra i dipinti di fama mondiale dei grandi maestri del passato qui conservati troviamo opere come il Ritratto femminile idealizzato di Sandro Botticelli, Il geografo di Jan Vermeer o L'accecamento di Sansone di Rembrandt, così come numerosi quadri del XIX secolo e della modernità classica, capolavori che si annoverano tra gli incunaboli della storia dell'arte. Eppure 'l'emblema' del museo è tutt'oggi rappresentato dal dipinto Goethe nella campagna romana, che l'artista Johann Heinrich Wilhelm Tischbein dipinse nel 1787, opera che apre l'esposizione. Nessun altro dipinto ha influenzato così fortemente la nostra iconografia del più celebre poeta tedesco, Johann Wolfgang Goethe. Adagiato in un ideale paesaggio italiano, circondato da antiche rovine, il poeta sembra consapevole della propria importanza. Imponente e fiero, si presenta al suo pubblico in una posa da sovrano. La leggera ironia del ritratto, a grandezza naturale, è spesso ignorata: oltre alle proporzioni distorte della figura, sorprendono, del poeta originario di Francoforte, soprattutto i due piedi sinistri.
Oggi, di quest'opera, che Goethe stesso non vide mai terminata, esistono innumerevoli riproduzioni e caricature; Andy Warhol, nel 1982, ne fece una 'star internazionale' della Pop Art con la sua variante serigrafica in colori sgargianti. Il Goethe nella campagna romana di Tischbein entrò a far parte della collezione nel 1887, donato dalla baronessa Salomon Rothschild, e calamitò, in breve tempo, l'attenzione del pubblico. Questa generosa elargizione di un privato rimanda al contempo alle origini del museo.

Le origini
L'ex libera città imperiale di Francoforte sul Meno, crocevia delle rotte commerciali europee e, per secoli, sede di incoronazione degli imperatori tedeschi, si sviluppò a partire dal Medioevo fino a divenire una delle più importanti piazze commerciali e finanziarie europee e ad assumere quella rilevanza per cui è nota ancora oggi. La città fu spesso al centro della storia tedesca ed europea, anche se non fu mai una vera e propria capitale. Diversamente da molte città tedesche, Francoforte non venne governata né dall'aristocrazia né dalla Chiesa; furono gli stessi cittadini a determinarne le sorti. Il fulcro del suo successo economico non risiedeva soltanto nella felice posizione geografica nel cuore dell'Europa, ma anche nell'atteggiamento cosmopolita e liberale che ne derivava, e con cui gli abitanti si identificavano, che influenzò anche lo scapolo Johann Friedrich Städel (1728-1816). Städel, che proveniva da una famiglia di mercanti di Francoforte, accumulò un ragguardevole patrimonio come banchiere e commerciante di spezie. Goethe, nei suoi appunti e nelle sue lettere, osservò più volte che Städel, nonostante l'età avanzata, non intendeva rinunciare a ricevere di persona i visitatori nella sua dimora. Li conduceva attraverso la sua vasta collezione d'arte, che includeva prevalentemente opere di pittura olandese e tedesca del XVII e XVIII secolo. In occasione del suo ritorno a Francoforte, nel 1814 e nel 1815, Goethe definì Städel il «decano di tutti i veri amanti dell'arte che vivono qui» e riferì: «Ci è dato sapere che quest'uomo eccezionale, costantemente impegnato nelle sue silenziose riflessioni, ha posto al servizio della comune utilità i suoi tesori artistici assieme a un ampio locale e a considerevoli capitali, per cui l'amore per l'arte e la sensibilità artistica potranno indubbiamente contare qui per l'eternità sugli stimoli più certi e sulla formazione più sicura». Un anno dopo, nel secondo fascicolo della rivista, Goethe accennò che Städel, «un amante dell'arte come pochi», era da poco scomparso. Städel donò alla collettività il suo consistente patrimonio di circa un milione di fiorini, unitamente alla sua collezione d'arte e alla sua sontuosa casa. In linea con il mecenatismo borghese, e influenzato dallo spirito dell'Illuminismo, Städel voleva contribuire, come risulta dal suo testamento, a offrire «il meglio per la cittadinanza locale». Lo Städel Museum è nato così, fondato da un privato cittadino di Francoforte dotato di sensibilità artistica, che intendeva contribuire alla promozione dell'arte offrendo pubblico accesso alla sua collezione e biblioteca, nonché creando una scuola d'arte. Fino a quel momento, in Germania, iniziative di questo tipo erano state soprattutto prerogative dell'aristocrazia e della Chiesa. Lo Städel Museum non si fonda, dunque, su una collezione di una famiglia aristocratica né su una galleria pubblica, ma è stato istituito grazie all'impegno di un privato cittadino. Un istituto di questo tipo, a quel tempo, era un'assoluta novità. Il successo dell'iniziativa del fondatore è ancora visibile: oltre al museo sono ancora oggi esistenti sia la biblioteca d'arte che la Scuola Städel; quest'ultima, peraltro, si annovera tra le più influenti accademie d'arte in Germania.
Städel volle sottrarre fin dall'inizio la sua fondazione a qualsiasi influenza da parte dell'autorità: «L'intera organizzazione di questo istituto d'arte da me fondato [...] è affidata unicamente alla discrezione degli amministratori della fondazione che nomino in appresso, senza necessità di chiedere alcun riscontro o autorizzazione delle autorità». All'indipendenza finanziaria doveva corrispondere una libertà nella scelta dei contenuti. Cinque «degni amministratori» selezionati da Städel tra la «cittadinanza locale» erano incaricati di eseguire le sue ultime volontà. Städel aveva inoltre sufficiente distacco per riconoscere le lacune e i punti deboli della sua collezione, che era orientata al gusto del tempo e annoverava opere dell'arte tedesca, olandese e fiamminga: non solo consentì la vendita di singole opere, ma addirittura esortò a cedere «pezzi mediocri a favore di opere migliori» per aumentare la qualità della raccolta. Dopo la morte di Städel, nel 1816, la collezione venne inizialmente esposta nella sua casa, situata nel centro di Francoforte. Tuttavia, soltanto con la nomina nel 1830 dell'artista Philipp Veit a «Preside della Scuola di Pittura e Direttore della Galleria», e solo dopo la conclusione di lunghe controversie ereditarie con i lontani parenti di Städel e il trasloco, nel 1833, del museo e della scuola in un edificio appropriato, l'Istituto d'Arte poté in concreto avviare la sua attività. La scelta dell'ultracattolico Veit, chiamato direttamente da Roma (allora considerata centro internazionale dell'arte) per trasferirsi a Francoforte, città borghese illuminata e protestante, testimoniava le elevate ambizioni e, al contempo, la grande tolleranza della direzione dell'Istituto. Come molti giovani artisti tedeschi, anche Veit apparteneva alla cerchia dei Nazareni, gruppo il cui nome, inizialmente derisorio, si riferiva alla capigliatura dei suoi componenti, simile a quella di Cristo, e allo stile di vita devoto dei suoi membri. Insoddisfatti dalla condizione in cui versavano le accademie del loro Paese, giovani artisti come Franz Pforr si erano trasferiti con grandi aspettative nella 'Città Santa'. I Nazareni concepivano la loro arte come contributo al rinnovamento di un cristianesimo di stampo cattolico. Per questa loro visione trovavano ispirazione, oltre che nella Bibbia, soprattutto nell'arte di Raffaello e di Albrecht Dürer. Non stupisce quindi che Städel, oltre ai dipinti dei maestri di pittura dell'antichità caratterizzati da tematiche religiose (vennero acquistate opere di artisti tedeschi, italiani e olandesi), aggiunse alla collezione soprattutto opere di artisti contemporanei vicini a Veit, ossia di Nazareni o di artisti che frequentavano il loro ambiente, sensibili, come questi, ai temi religiosi. Di grande importanza programmatica fu l'incarico, conferito a Johann Friedrich Overbeck, per il monumentale dipinto Il trionfo della religione nelle arti. Molti dei suoi contemporanei lo ritenevano «alla lunga il più grande artista mai vissuto». Ultimato dopo undici anni di lavoro, con la sua esposizione allo Städel il dipinto scatenò nel 1840 accese discussioni. La composizione, ispirata a Raffaello, ben denotava la convinzione di Overbeck che l'arte trovasse una sua giustificazione soltanto al servizio della religione. Accanto a tali opere di grande formato, caratterizzate da temi cristiani, nel 1832 venne acquistato direttamente da Joseph Anton Koch a Roma il Paesaggio con il ratto di Hylas. Già due anni prima era stato acquisito il dipinto Le cascate di Tivoli, opera del suo allievo, scomparso in giovane età, Carl Philipp Fohr. Pur non appartenendo ai Nazareni, Fohr e Koch erano vicini a questo gruppo di artisti. Soprattutto Koch era considerato un importante modello da molti membri del movimento. La sua pittura di paesaggio di impronta classicistica era ispirata dalle impressioni che l'artista aveva ricevuto osservando la natura nei dintorni di Roma, resa in complessi paesaggi ideali. Quanto fossero importanti per il cattolico Veit le sue convinzioni religiose, venne mostrato nel 1843 con le sue dimissioni da direttore dello Städel: dopo l'acquisto di Jan Hus a Costanza di Carl Friedrich Lessing da parte dell'amministrazione dello Städel, abbandonò infatti la direzione dell'Istituto, profondamente deluso dalla tematica che caratterizzava l'opera. Nel dipinto il protestante Hus, condannato a morte sul rogo dal Concilio di Costanza per eresia, appare come un eroe, circondato da vescovi e abati contrariati. L'eroicizzazione del martire protestante operata da Lessing non poteva essere tollerata dall'ultracattolico direttore. Heinrich Hoffmann, autore del libro illustrato per bambini intitolato Struwwelpeter ('Pierino Porcospino') e membro dell'amministrazione dello Städel, motiva questa contestata decisione di acquisto nelle sue memorie: «Noi, gli Amministratori, tutti evangelici, con l'acquisto del quadro Trionfo delle arti di Overbeck avevamo a suo tempo fatto una concessione alla corrente cattolica in una città prevalentemente protestante, ora è nostro dovere rendere giustizia anche alla corrente protestante con il quadro di Lessing»10. Con l'acquisto del dipinto di Lessing allo Städel si voleva così ribattere al dogmatismo religioso dei Nazareni. Lessing non rimase rappresentato nella collezione soltanto da questa raffigurazione storica. Molto meno conflittuale fu l'acquisto dell'opera intitolata La quercia millenaria. Qui Lessing unisce all'interesse per le tematiche storiche una minuziosa descrizione del paesaggio, tendenza pittorica che la Scuola di Düsseldorf aveva reso, allora, decisamente popolare in Germania. Il dogmatismo di Veit e il suo interesse per un'arte orientata al passato incontrarono l'opposizione della generazione più giovane. Un anno prima delle sue dimissioni la Scuola Städel istituì una cattedra di pittura di genere, grazie alla quale, in Germania, scene di vita quotidiana poterono entrare a far parte della tradizione pittorica accademica. Lo Städel di recente istituzione apparve a molti giovani artisti come un luogo allettante in cui esporre le proprie opere. L'autogestione cittadina dell'Istituto prometteva un clima liberale nonostante le rigide convinzioni del suo direttore; inoltre, la ricca città tedesca attraeva con i suoi incarichi pubblici e i suoi mecenati. Lo Städel era il cuore della vita culturale di Francoforte, una città commerciale che divenne, insieme alle città che ospitavano la corte (Monaco, Dresda, Berlino e Düsseldorf), anche il primo centro culturale borghese in Germania.

Insediamento alle porte della città
Nel 1840 Johann David Passavant assunse l'incarico di soprintendente dello Städel11. Amico d'infanzia di Franz Pforr, Passavant si era dapprima formato come pittore in Francia presso il classicista Jacques-Louis David unendosi successivamente, a Roma, al gruppo dei Nazareni, ma in seguito aveva progressivamente abbandonato la pittura per dedicarsi alla storia dell'arte. Già nel 1820 aveva pubblicato i suoi primi scritti di critica, a cui fecero seguito numerose altre pubblicazioni. Con il suo arrivo allo Städel ebbe inizio sia una catalogazione scientifica delle opere sia una strutturazione sistematica della collezione che, nei suoi tratti fondamentali, è tuttora diffusa nei musei, ma che allora rappresentava un'assoluta novità. Passavant decise per l'acquisto di opere di grandi maestri del passato, per esempio di Sandro Botticelli, Albrecht Dürer o Jan van Eyck, ma acquistò anche opere d'arte contemporanea. Sul piano storico-artistico fu significativa la visita del pittore francese Gustave Courbet, all'epoca già famoso, che arrivò a Francoforte nel settembre del 1858 e vi soggiornò sei mesi, accolto con entusiasmo dagli ambienti artistici; al pittore Jakob Becker, professore alla Scuola Städel, mise a disposizione un atelier. Proprio in quel periodo Courbet realizzò dodici quadri, tra cui Veduta di Francoforte con il vecchio ponte da Sachsenhaussen e diede importanti impulsi soprattutto ai giovani artisti che gravitavano nella regione. La collezione dello Städel crebbe costantemente, tanto che si rese necessario un trasferimento. Sotto la nuova direzione, nel 1878, traslocò sull'altra riva del Meno, dove a quel tempo si trovavano le porte della città, in quella nuova costruzione rappresentativa che ancora oggi ospita la raccolta. Con grandi sale dotate di lucernari, gabinetti e una biblioteca, l'edificio concepito da Oscar Sommer soddisfaceva i più moderni requisiti di un museo. Grazie alla sua attività di docente di architettura all'Istituto d'Arte Städel, l'architetto e allievo del maestro Gottfried Semper conosceva perfettamente le esigenze dell'istituzione. Il «sontuoso palazzo », come lo definì lo studioso d'arte Jacob Burckhardt, non incontrò tuttavia soltanto approvazioni. Il simbolista francese Joris-Karl Huysmans, in occasione di una sua visita nel 1905, non si mostrò tanto colpito dall'architettura quanto piuttosto dalla qualità della collezione: «E qui lungo il fiume sono raccolte opere meravigliose in un edificio costruito in stile ufficiale, la cui bruttezza non è attenuata dalla misera decorazione di un nuovo giardino». Molte di queste «opere meravigliose» erano arrivate al museo tramite donazioni: la Ritratto di donna romana in tunica bianca e manto rosso di Anselm Feuerbach era un dono della vedova del giudice onorario di Francoforte Franz Edouard Souchay; il Paesaggio greco a Egina di Carl Anton Rottmann era frutto di una eredità; il Ritratto di donna su un tetto di Roma di Max Klinger, Al Caffé d'Harcourt a Parigi di Henri-Jacques Evenepoel e Il guardiacaccia di Fernand Khnopff furono donati alla collezione dalla madre di Walther Rathenau in memoria del figlio, il ministro degli Affari Esteri della Repubblica di Weimar ucciso in un attentato. Circa un terzo delle opere dello Städel erano quindi donazioni, espressione dello strettissimo legame dei cittadini con il loro museo. Per rafforzare il sostegno dello Städel e aprire ulteriormente il museo al pubblico, nel 1899 venne fondata l'Associazione dello Städel Museum. Creata su proposta dell'editore Leopold Sonnemann, ispirandosi al modello di altre associazioni vicine al museo, l'Associazione dello Städel Museum divenne rapidamente un importante forum e partner per l'Istituto, al cui impegno lo Städel deve numerose magnifiche opere. Già nel 1905 la "Frankfurter Zeitung" scrisse: «Ogni visitatore della galleria che non disprezzi l'arte moderna sarà grato a quest'Associazione, che nei pochi anni della sua esistenza ha già così felicemente appoggiato l'Amministrazione dell'Istituto».

Lo sguardo rivolto alla Francia
In occasione della fondazione dell'Associazione, il mercante e consigliere comunale Viktor Mössinger donò allo Städel l'opera Rive della Senna in autunno di Alfred Sisley, uno dei primi dipinti impressionisti a venir esposto in un museo pubblico tedesco. Il mercante sostenne lo Städel anche in un altro sensazionale acquisto: su richiesta del direttore Georg Swarzenski, nel 1916 si fece carico del finanziamento del Ritratto del Dr. Gachet di Vincent van. Il ritratto, realizzato nel 1890 subito prima del suicidio dell'artista ad Auvers, segnava, nella collezione Städel, il punto di contatto tra l'arte del XIX secolo e l'arte moderna. L'acquisto fu dibattuto: gli esperti non erano tutti concordi sul fatto che i musei tedeschi dovessero comprare opere di impressionisti e postimpressionisti. Un anno prima, l'acquisto del Campo di papaveri di van Gogh per la Kunsthalle di Brema aveva scatenato una vivace controversia. Queste opere non erano soltanto troppo costose, ma anche prive di contenuto: era questo il rimprovero avanzato da molti artisti tedeschi che si vedevano svantaggiati a causa di tali acquisti: «Dinnanzi alla grande invasione dell'arte francese che da alcuni anni si sta compiendo negli ambienti artistici tedeschi cosiddetti progressisti, mi sembra una necessità imperiosa che gli artisti tedeschi alzino la loro voce ammonitrice senza temere l'obiezione che a spingerli sia solo l'invidia». A questa lettera di protesta, redatta dal paesaggista della Germania del Nord Carl Vinnen, era acclusa una lista lunga molte pagine con le firme di diversi artisti tedeschi. Tra coloro che, nello stesso anno, si opposero pubblicamente a questo atteggiamento con un'appassionata difesa dell'arte francese, si annovera il direttore dello Städel, Georg Swarzenski. In un articolo per la "Frankfurter Zeitung" egli scrisse: «Per quanto concerne ora la pittura francese del XIX secolo, non v'è alcun dubbio che i suoi grandi maestri abbiano creato opere appartenenti a quella massima categoria in cui il mondo e i fenomeni sono rappresentati creativamente in un modo nuovo e di per sé perfetto. [...] È pertanto ovvio che ogni museo consapevole dei propri alti compiti culturali sia felice di poter acquisire simili opere». Swarzenski, che diresse il museo dal 1906 al 1938, veniva da Berlino, dove aveva precedentemente lavorato come assistente del direttore al Kunstgewerbemuseum. All'epoca della controversia l'arte impressionista in Germania aveva già numerosi sostenitori tra gli storici dell'arte, i collezionisti e il pubblico. Il centro da cui si era sviluppato questo movimento artistico in Germania era Berlino; riviste d'arte come "Pan" e diverse gallerie della capitale promuovevano attivamente questo interesse. Già prima dell'inizio del nuovo secolo il direttore della Nationalgalerie di Berlino, Hugo von Tschudi, aveva avviato l'acquisto sistematico di pittura impressionista. A Francoforte e nella maggior parte delle altre città tedesche questa apertura e questo apprezzamento verso l'Impressionismo si svilupparono solo più tardi. A Francoforte fu nella galleria d'arte moderna di Marie Held che, nel 1908 e 1910, si poterono vedere per la prima volta, oltre a opere di Honoré Daumier, Max Liebermann e Paul Cézanne, anche lavori di Vincent van Gogh. Con la presentazione di ottantadue opere di questo artista, nel 1908 anche l'Associazione Artistica offrì al pubblico di Francoforte l'opportunità di confrontarsi intensamente con la sua arte. Negli anni successivi, nelle gallerie di Francoforte vennero esposte opere di Paul Gauguin, Adolphe Monticelli e Pierre-Auguste Renoir. Questa intensa attività espositiva di arte francese trovò corrispondenza in numerose collezioni private della regione di Francoforte. Poco stupisce che queste, incluso lo Städel, stabilissero priorità del tutto analoghe: vennero acquistati quadri della Scuola di Barbizon, di Claude Monet, Edouard Manet, Pierre-Auguste Renoir e Vincent van Gogh. Così lo Städel fu uno dei primi musei in Germania in cui poter ammirare un gran numero di opere di impressionisti francesi, molte delle quali erano lavori giovanili. I dipinti allora contemporanei, o della generazione di pittori parigini più giovani e radicali, come ad esempio Pierre Bonnard o Pablo Picasso, in Germania si trovavano soltanto in alcune collezioni private e vennero più volte offerti in vendita anche allo Städel. Tuttavia, benché Swarzenski consigliasse ai collezionisti l'acquisto di tali opere, per lo più si rifiutò di comprarle poiché, secondo la convinzione dell'epoca, per essere esposto in un museo un dipinto doveva prima essersi affermato dinnanzi alla storia: «A differenza delle esposizioni d'arte, il museo offre all'opera artistica una sede duratura e ciò può essere concesso soltanto ad un'opera veramente affermatasi, che incarni un valore eterno». Se durante tutto il XIX secolo, per l'acquisto di opere contemporanee, lo Städel si era rivolto principalmente all'arte tedesca, Swarzenski cominciò ad aprire la collezione in modo mirato anche all'arte francese del XIX secolo. Già nei primi anni della sua direzione lo Städel acquistò due quadri di Gustave Courbet e la Casa di campagna presso Nuenen (La Chaumière) di van Gogh, che come opera giovanile non presenta tuttavia la radicalità delle opere più tarde. Nell'arco di alcuni anni seguirono Dopo la colazione e La lettrice di Pierre-Auguste Renoir nonché Musicisti dell'orchestra di Edgar Degas, La colazione di Claude Monet, un'opera fondamentale della sua arte pre-impressionista, e La partita di cricket di Edouard Manet. L'acquisizione di opere pittoriche francesi incluse anche i precursori degli impressionisti: vennero acquistati ed esposti assieme all'arte tedesca la Fantasia araba di Eugène Delacroix così come i dipinti di Jean-Baptiste Corot Veduta di Marino (di mattina), Paesaggio d'estate, Ritratto di ragazza italiana e il dipinto in grande formato di Charles Daubigny Il frutteto. A differenza della maggior parte degli altri musei tedeschi, l'arte francese non veniva presentata in sale separate, ma era esposta come parte integrante di una storia dell'arte comune. Questi acquisti, non soltanto estremamente numerosi ma anche costosi, furono possibili grazie al sostegno dell'Amministrazione, dell'Associazione del Museo, delle istituzioni della città, nonché di numerosi cittadini privati. Particolarmente determinante per lo Städel fu il lascito del cittadino di Worms Ludwig Josef Pfungst che nel 1907 donò la sua collezione e il suo patrimonio di oltre due milioni di marchi alla città di Francoforte, a condizione che con esso venissero acquistate opere di artisti viventi. Fu così fondata la Galleria Civica, concepita fin dall'inizio come integrazione dello Städel e guidata dallo stesso direttore. Questa istituzione cittadina doveva raccogliere in prima linea opere di artisti locali, per cui «la produzione locale non aveva da temere la prova di forza di un confronto con le celebrità internazionali». Una così chiara dichiarazione pubblica, da parte di una città, per promuovere con forza l'arte contemporanea era, allora, completamente innovativa. E oggi? Sarebbe mai pensabile che una città si adoperi con tale vigore per promuovere l'arte dei giovani artisti a livello internazionale? Fu subito chiaro che il museo, in futuro, avrebbe avuto bisogno di più spazio. Dopo un concorso bandito nel 1912 si decise di collocare dietro l'edificio già esistente una struttura a due piani a esso parallela, la cosiddetta 'ala del giardino'. Lo scoppio della Prima guerra mondiale ne ritardò tuttavia la realizzazione: «Per anni rimase soltanto la costruzione grezza e il giardino non ancora risistemato fu utilizzato come orto». Soltanto nel maggio del 1921 poté essere inaugurata l'ala del giardino che tuttora ospita la collezione del XIX secolo e della modernità classica.

Ascesa e proscrizione dell'arte moderna
Le difficoltà economiche conseguenti alla Prima guerra mondiale comportarono ristrettezze finanziarie anche per lo Städel, per cui il numero delle acquisizioni diminuì fortemente. Nel discorso inaugurale della nuova ala, Swarzenski illustrò la sua concezione di museo moderno, in cui contavano più l'impatto estetico-sensoriale e il piacere dell'osservatore che la diretta trasmissione del sapere: «Qui c'è in fondo soltanto un principio, soltanto un programma, soltanto una pretesa, ossia che una collezione abbia il valore di esperienza artistica, che irradi forze artistiche e che quest'esperienza artistica sia la più pura e intensa, la più ricca possibile e immaginabile ». Con una simile concezione, che si basava sulla contemplazione diretta dell'opera e che poneva al primo posto l'esperienza diretta dell'osservatore, l'arte sensoriale dell'Impressionismo, così come l'arte contemporanea talvolta provocatoria, andava a pennello. Il direttore si adoperò, quindi, con determinazione anche per l'acquisto di opere d'arte contemporanea. Il museo non doveva, come affermava Swarzenski, «spaventarsi se la sua posizione comportava per lui degli attacchi. Non dobbiamo nemmeno spaventarci dinnanzi a ciò che è problematico in un settore così intellettuale, poiché come lo è la creazione artistica, molte, anzi il più delle cose, sono problematiche. Pertanto non possiamo far altro che sforzarci di considerare la creazione di oggi con la stessa critica e lo stesso amore della creazione di ieri». All'indomani della fine della guerra lo Städel acquistò direttamente dal suo atelier alcuni dei primi dipinti di Max Beckmann, residente a Francoforte, costituendo così un'ampia collezione di opere dell'artista. Beckmann, che rivestiva una posizione di spicco nella vita sociale della città e che insegnava dal 1925 alla Scuola Städel, era legato a Swarzenski da una stretta amicizia. Nel dipinto Doppio ritratto, accanto alla moglie del direttore, Marie, l'artista colloca l'amante di Swarzenski, Carola Netter, che in seguito avrebbe lavorato come assistente allo Städel. Per realizzare l'opera Beckmann invitò le due donne separatamente nel suo atelier. Conoscendo i retroscena della vicenda si riesce a cogliere l'atmosfera stranamente tesa che caratterizza il dipinto e l'atteggiamento distanziato delle due donne, pur molto vicine fisicamente. Beckmann con quest'opera ben espresse l'ironia, talvolta estrosa, che lo caratterizzava. Oltre che con i lavori di Beckmann la collezione della Galleria Civica fu ben presto arricchita con importanti dipinti del gruppo di artisti "Die Brücke". Nel 1919 vennero acquistati due quadri di Ernst Ludwig Kirchner: lo Städel fu così il primo museo in assoluto a possedere opere di questo espressionista. Vennero inseriti nella collezione anche quadri di Erich Heckel, Emil Nolde, Karl Schmidt-Rottluff, Max Pechstein, Kees van Dongen o Franz Marc e Henri Matisse. Da uno sguardo retrospettivo risulta una netta presa di posizione a favore dell'Espressionismo tedesco, mentre trovano scarsa considerazione altri movimenti allora emergenti nell'arte contemporanea. Nella collezione, infatti, non erano presenti opere rappresentative della Nuova Oggettività, del Costruttivismo o del Surrealismo. Malgrado questo, lo Städel era allora uno dei musei in Germania che si interessavano più apertamente di arte contemporanea. In questo contesto, si può quindi dedurre l'importanza che poteva rivestire negli anni Venti, non solo per la città di Francoforte, ma anche ben oltre i suoi confini. Le visite dello «Städel Museum di Swarzenski a Francoforte », scriveva il poeta e scrittore tedesco di successo Carl Zuckmayer nelle sue memorie, «erano per noi più di esperienze istruttive, erano viaggi nell'ignoto e nel meraviglioso». Con la presa del potere dei nazisti, nel 1933, questo periodo d'oro trovò una brusca e tragica fine. Le opere d'arte moderna, inizialmente, furono relegate in un deposito e, quattro anni dopo, quelle più rilevanti furono sottratte al museo. I nazisti ordinarono il sequestro di settantasette dipinti e cinquecentosettantacinque fra disegni a mano e opere grafiche, nonché di tre sculture, bollate come 'arte degenerata'. Alcune opere vennero esposte nella famigerata mostra-tribunale della Fema intitolata 'Arte Degenerata', inaugurata a Monaco nel 1937, e itinerante poi per tre anni attraverso la Germania. Nonostante le autorità tentassero già nel 1933 di licenziare Swarenski per le sue origini ebree, e in quanto fautore dell'arte moderna, l'Amministrazione dello Städel, in virtù della sua indipendenza istituzionale, riuscì a mantenere in carica il direttore fino al 1937, anno del suo licenziamento. A essere licenziato non fu soltanto Swarzenski, ma anche il direttore della Scuola Städel Fritz Wichert e rinomati professori del calibro di Max Beckmann. Mentre Swarzenski riuscì a emigrare negli Stati Uniti e a proseguire il suo lavoro al Museum of Fine Arts di Boston, Beckmann andò in esilio ad Amsterdam. Anche Fritz Wichert lasciò Francoforte e trovò una nuova patria sull'isola di Sylt, nel Mare del Nord. L'Associazione del Museo, in cui si erano impegnati tanti intellettuali ebrei appartenenti alla borghesia della città, perse, almeno per il momento, la sua grande importanza. Le opere confiscate, che godevano di interesse sul mercato dell'arte internazionale, vennero in alcuni casi svendute a prezzi stracciati, mentre altre opere furono addirittura distrutte. Tra queste figuravano dipinti di artisti tedeschi come Max Beckmann, Ernst Ludwig Kirchner e Franz Marc, nonché lavori fondamentali di Pablo Picasso, Marc Chagall, Edvard Munch, Henri Matisse, Paul Gauguin o Vincent van Gogh. La Galleria Civica cessò praticamente di esistere come collezione d'arte moderna. Il museo aveva perduto tutte le importanti opere contemporanee; il sogno di un museo moderno e rivolto al futuro era, per il momento, andato in fumo. Il Ritratto del Dr. Gachet di van Gogh, scampato al primo sequestro indetto per la mostra 'Arte Degenerata', nel dicembre 1937 fu preteso dai nazisti. Mentre le opere giovanili di van Gogh ospitate allo Städel non suscitavano interesse, il generale feldmaresciallo Hermann Göring, uno dei politici di primo piano del Terzo Reich e incallito collezionista d'arte, si assicurò il ritratto barattandolo con dipinti di antichi maestri. Oggi, allo Städel, solo una cornice vuota e una radiografia del dipinto testimoniano il passato del Dr. Gachet a Francoforte.

Periodo bellico e nuovo inizio
Dopo che, nel 1937, dovette rinunciare al suo incarico di direttore, Swarzenski consigliò come suo successore Ernst Holzinger, che diresse il museo fino alla sua morte, nel 1972. Lo storico dell'arte aveva concluso il suo dottorato di ricerca con Heinrich Wölfflin con una tesi sulle xilografie di Albrecht Dürer. Uno dei principali compiti del nuovo direttore fu l'organizzazione del trasferimento del patrimonio della collezione. Dinnanzi al profilarsi del rischio di una guerra, dal 1938 si decise di mettere al riparo le opere in luoghi al sicuro nei dintorni di Francoforte. L'attività della collezione fu limitata alla pittura tedesca della seconda metà del XIX secolo. Holzinger si recò più volte in Francia e in Olanda su incarico dell'amministrazione cittadina per acquistare opere presenti sul mercato nelle zone occupate, che furono poi restituite dopo la guerra28. Durante la sua carica di direttore redasse perizie sul 'patrimonio artistico' che gli ebrei deportati o emigrati furono costretti ad abbandonare nei loro appartamenti. Ben-ché come direttore dello Städel fosse molto esposto, durante il nazismo Holzinger si impegnò a favore della raccolta di arte espressionista di Carl Hagemann, uno dei principali collezionisti d'arte e mecenati tedeschi dell'inizio del XX secolo. Il collezionista di Francoforte aveva perso la vita in un incidente stradale: il rischio che la sua collezione di 'arte degenerata' non sopravvivesse alla guerra era reale. Doris Schmidt, un'ex collaboratrice di Holzinger, nel 1974 ricordò in un articolo di giornale come il direttore dello Städel avesse messo al riparo le opere «di nascosto, di sera e di notte, munito di zaino e carriola, dapprima nel suo museo allora già vuoto e in seguito in un luogo sicuro fuori Francoforte». In segno di gratitudine per l'impegno, dopo la guerra gli eredi di Carl Hagemann donarono allo Städel tutti i disegni e le stampe e cedettero al museo numerosi dipinti come prestiti permanenti. Un legame, quello di Holzinger con Hagemann, e un impegno, quello del direttore, i cui frutti si raccolgono ancora oggi: le opere espressioniste della collezione Hagemann, tra cui lavori fondamentali di Ernst Ludwig Kirchner, August Macke, Emil Nolde e Karl Schmidt- Rottluff, alla fine della guerra hanno costituito il nucleo fondante del nuovo allestimento della Galleria del XX secolo. Durante la guerra il museo era stato massicciamente danneggiato dai bombardamenti. La ricostruzione si protrasse fino a metà degli anni Sessanta. L'ala laterale e la scala, andate distrutte, vennero riedificate. Più pesanti delle distruzioni furono tuttavia le perdite arrecate al museo dai nazisti con le loro confische. Nel dopoguerra la situazione in cui versavano le istituzioni artistiche tedesche era precaria non soltanto a Francoforte: da un lato si dovevano colmare, laddove possibile, i vuoti creati nel periodo nazista, dall'altro non si poteva, e non si doveva, trascurare il presente per concentrarsi unicamente sul passato. Holzinger, che era membro del Comitato principale della Documenta, tra il 1948 e il 1966 riuscì a restituire alla collezione almeno sei delle opere sequestrate, tra cui opere di grande rilievo come Cane accucciato sulla neve di Franz Marc e Paesaggio dell'Holstein di Erich Heckel. Si aggiunsero poi numerosi ulteriori acquisizioni, proprio nella sezione della modernità classica. In questo contesto riveste una straordinaria importanza il Ritratto di Fernande Olivier di Pablo Picasso, acquistato nel 1967 con l'aiuto dell'Associazione del Museo. L'acquisto del ritratto cubista del 1909 venne concepito come una sorta di 'reminescenza' del Ritratto del Dr. Gachet di van Gogh. Oltre ad analogie formali, le due opere sono accomunate non solo dalla tensione tra figurazione e astrazione, ma anche dell'interrogativo sul ruolo che l'individuo esercita nell'arte. Così come il dipinto di van Gogh segnava il punto di contatto tra arte antica e moderna nella collezione dello Städel, il ritratto di Picasso, con le sue fratture e i suoi incastri, introduceva la Galleria del XX secolo. Al radicale innovatore del tardo XIX secolo succedeva Picasso, che ha influenzato come nessun altro artista la produzione della prima metà del XX secolo.

(Felix Krämer, curatore della mostra)

Immagine mostra

«Il fascino dell'Istituto Städel consiste in un'immensa energia concentrata in uno spazio ristretto. Vi è quasi tutto ciò che ha avuto origine dai grandi moti dell'animo dei popoli europei e tutto in opere di prim'ordine», così il direttore della Hamburger Kunsthalle Alfred Lichtwark espresse il suo entusiasmo per la collezione dello Städel Museum dopo una visita nel 1905. Il particolare charme dello Städel Museum e della sua collezione è rimasto intatto fino a oggi. La sua raccolta si fregia di capolavori che spaziano dall'inizio del XIV secolo al presente. Tra i dipinti di fama mondiale dei grandi maestri del passato qui conservati troviamo opere come il Ritratto femminile idealizzato di Sandro Botticelli, Il geografo di Jan Vermeer o L'accecamento di Sansone di Rembrandt, così come numerosi quadri del XIX secolo e della modernità classica, capolavori che si annoverano tra gli incunaboli della storia dell'arte. Eppure 'l'emblema' del museo è tutt'oggi rappresentato dal dipinto Goethe nella campagna romana, che l'artista Johann Heinrich Wilhelm Tischbein dipinse nel 1787, opera che apre l'esposizione. Nessun altro dipinto ha influenzato così fortemente la nostra iconografia del più celebre poeta tedesco, Johann Wolfgang Goethe. Adagiato in un ideale paesaggio italiano, circondato da antiche rovine, il poeta sembra consapevole della propria importanza. Imponente e fiero, si presenta al suo pubblico in una posa da sovrano. La leggera ironia del ritratto, a grandezza naturale, è spesso ignorata: oltre alle proporzioni distorte della figura, sorprendono, del poeta originario di Francoforte, soprattutto i due piedi sinistri.
Oggi, di quest'opera, che Goethe stesso non vide mai terminata, esistono innumerevoli riproduzioni e caricature; Andy Warhol, nel 1982, ne fece una 'star internazionale' della Pop Art con la sua variante serigrafica in colori sgargianti. Il Goethe nella campagna romana di Tischbein entrò a far parte della collezione nel 1887, donato dalla baronessa Salomon Rothschild, e calamitò, in breve tempo, l'attenzione del pubblico. Questa generosa elargizione di un privato rimanda al contempo alle origini del museo.

Le origini
L'ex libera città imperiale di Francoforte sul Meno, crocevia delle rotte commerciali europee e, per secoli, sede di incoronazione degli imperatori tedeschi, si sviluppò a partire dal Medioevo fino a divenire una delle più importanti piazze commerciali e finanziarie europee e ad assumere quella rilevanza per cui è nota ancora oggi. La città fu spesso al centro della storia tedesca ed europea, anche se non fu mai una vera e propria capitale. Diversamente da molte città tedesche, Francoforte non venne governata né dall'aristocrazia né dalla Chiesa; furono gli stessi cittadini a determinarne le sorti. Il fulcro del suo successo economico non risiedeva soltanto nella felice posizione geografica nel cuore dell'Europa, ma anche nell'atteggiamento cosmopolita e liberale che ne derivava, e con cui gli abitanti si identificavano, che influenzò anche lo scapolo Johann Friedrich Städel (1728-1816). Städel, che proveniva da una famiglia di mercanti di Francoforte, accumulò un ragguardevole patrimonio come banchiere e commerciante di spezie. Goethe, nei suoi appunti e nelle sue lettere, osservò più volte che Städel, nonostante l'età avanzata, non intendeva rinunciare a ricevere di persona i visitatori nella sua dimora. Li conduceva attraverso la sua vasta collezione d'arte, che includeva prevalentemente opere di pittura olandese e tedesca del XVII e XVIII secolo. In occasione del suo ritorno a Francoforte, nel 1814 e nel 1815, Goethe definì Städel il «decano di tutti i veri amanti dell'arte che vivono qui» e riferì: «Ci è dato sapere che quest'uomo eccezionale, costantemente impegnato nelle sue silenziose riflessioni, ha posto al servizio della comune utilità i suoi tesori artistici assieme a un ampio locale e a considerevoli capitali, per cui l'amore per l'arte e la sensibilità artistica potranno indubbiamente contare qui per l'eternità sugli stimoli più certi e sulla formazione più sicura». Un anno dopo, nel secondo fascicolo della rivista, Goethe accennò che Städel, «un amante dell'arte come pochi», era da poco scomparso. Städel donò alla collettività il suo consistente patrimonio di circa un milione di fiorini, unitamente alla sua collezione d'arte e alla sua sontuosa casa. In linea con il mecenatismo borghese, e influenzato dallo spirito dell'Illuminismo, Städel voleva contribuire, come risulta dal suo testamento, a offrire «il meglio per la cittadinanza locale». Lo Städel Museum è nato così, fondato da un privato cittadino di Francoforte dotato di sensibilità artistica, che intendeva contribuire alla promozione dell'arte offrendo pubblico accesso alla sua collezione e biblioteca, nonché creando una scuola d'arte. Fino a quel momento, in Germania, iniziative di questo tipo erano state soprattutto prerogative dell'aristocrazia e della Chiesa. Lo Städel Museum non si fonda, dunque, su una collezione di una famiglia aristocratica né su una galleria pubblica, ma è stato istituito grazie all'impegno di un privato cittadino. Un istituto di questo tipo, a quel tempo, era un'assoluta novità. Il successo dell'iniziativa del fondatore è ancora visibile: oltre al museo sono ancora oggi esistenti sia la biblioteca d'arte che la Scuola Städel; quest'ultima, peraltro, si annovera tra le più influenti accademie d'arte in Germania.
Städel volle sottrarre fin dall'inizio la sua fondazione a qualsiasi influenza da parte dell'autorità: «L'intera organizzazione di questo istituto d'arte da me fondato [...] è affidata unicamente alla discrezione degli amministratori della fondazione che nomino in appresso, senza necessità di chiedere alcun riscontro o autorizzazione delle autorità». All'indipendenza finanziaria doveva corrispondere una libertà nella scelta dei contenuti. Cinque «degni amministratori» selezionati da Städel tra la «cittadinanza locale» erano incaricati di eseguire le sue ultime volontà. Städel aveva inoltre sufficiente distacco per riconoscere le lacune e i punti deboli della sua collezione, che era orientata al gusto del tempo e annoverava opere dell'arte tedesca, olandese e fiamminga: non solo consentì la vendita di singole opere, ma addirittura esortò a cedere «pezzi mediocri a favore di opere migliori» per aumentare la qualità della raccolta. Dopo la morte di Städel, nel 1816, la collezione venne inizialmente esposta nella sua casa, situata nel centro di Francoforte. Tuttavia, soltanto con la nomina nel 1830 dell'artista Philipp Veit a «Preside della Scuola di Pittura e Direttore della Galleria», e solo dopo la conclusione di lunghe controversie ereditarie con i lontani parenti di Städel e il trasloco, nel 1833, del museo e della scuola in un edificio appropriato, l'Istituto d'Arte poté in concreto avviare la sua attività. La scelta dell'ultracattolico Veit, chiamato direttamente da Roma (allora considerata centro internazionale dell'arte) per trasferirsi a Francoforte, città borghese illuminata e protestante, testimoniava le elevate ambizioni e, al contempo, la grande tolleranza della direzione dell'Istituto. Come molti giovani artisti tedeschi, anche Veit apparteneva alla cerchia dei Nazareni, gruppo il cui nome, inizialmente derisorio, si riferiva alla capigliatura dei suoi componenti, simile a quella di Cristo, e allo stile di vita devoto dei suoi membri. Insoddisfatti dalla condizione in cui versavano le accademie del loro Paese, giovani artisti come Franz Pforr si erano trasferiti con grandi aspettative nella 'Città Santa'. I Nazareni concepivano la loro arte come contributo al rinnovamento di un cristianesimo di stampo cattolico. Per questa loro visione trovavano ispirazione, oltre che nella Bibbia, soprattutto nell'arte di Raffaello e di Albrecht Dürer. Non stupisce quindi che Städel, oltre ai dipinti dei maestri di pittura dell'antichità caratterizzati da tematiche religiose (vennero acquistate opere di artisti tedeschi, italiani e olandesi), aggiunse alla collezione soprattutto opere di artisti contemporanei vicini a Veit, ossia di Nazareni o di artisti che frequentavano il loro ambiente, sensibili, come questi, ai temi religiosi. Di grande importanza programmatica fu l'incarico, conferito a Johann Friedrich Overbeck, per il monumentale dipinto Il trionfo della religione nelle arti. Molti dei suoi contemporanei lo ritenevano «alla lunga il più grande artista mai vissuto». Ultimato dopo undici anni di lavoro, con la sua esposizione allo Städel il dipinto scatenò nel 1840 accese discussioni. La composizione, ispirata a Raffaello, ben denotava la convinzione di Overbeck che l'arte trovasse una sua giustificazione soltanto al servizio della religione. Accanto a tali opere di grande formato, caratterizzate da temi cristiani, nel 1832 venne acquistato direttamente da Joseph Anton Koch a Roma il Paesaggio con il ratto di Hylas. Già due anni prima era stato acquisito il dipinto Le cascate di Tivoli, opera del suo allievo, scomparso in giovane età, Carl Philipp Fohr. Pur non appartenendo ai Nazareni, Fohr e Koch erano vicini a questo gruppo di artisti. Soprattutto Koch era considerato un importante modello da molti membri del movimento. La sua pittura di paesaggio di impronta classicistica era ispirata dalle impressioni che l'artista aveva ricevuto osservando la natura nei dintorni di Roma, resa in complessi paesaggi ideali. Quanto fossero importanti per il cattolico Veit le sue convinzioni religiose, venne mostrato nel 1843 con le sue dimissioni da direttore dello Städel: dopo l'acquisto di Jan Hus a Costanza di Carl Friedrich Lessing da parte dell'amministrazione dello Städel, abbandonò infatti la direzione dell'Istituto, profondamente deluso dalla tematica che caratterizzava l'opera. Nel dipinto il protestante Hus, condannato a morte sul rogo dal Concilio di Costanza per eresia, appare come un eroe, circondato da vescovi e abati contrariati. L'eroicizzazione del martire protestante operata da Lessing non poteva essere tollerata dall'ultracattolico direttore. Heinrich Hoffmann, autore del libro illustrato per bambini intitolato Struwwelpeter ('Pierino Porcospino') e membro dell'amministrazione dello Städel, motiva questa contestata decisione di acquisto nelle sue memorie: «Noi, gli Amministratori, tutti evangelici, con l'acquisto del quadro Trionfo delle arti di Overbeck avevamo a suo tempo fatto una concessione alla corrente cattolica in una città prevalentemente protestante, ora è nostro dovere rendere giustizia anche alla corrente protestante con il quadro di Lessing»10. Con l'acquisto del dipinto di Lessing allo Städel si voleva così ribattere al dogmatismo religioso dei Nazareni. Lessing non rimase rappresentato nella collezione soltanto da questa raffigurazione storica. Molto meno conflittuale fu l'acquisto dell'opera intitolata La quercia millenaria. Qui Lessing unisce all'interesse per le tematiche storiche una minuziosa descrizione del paesaggio, tendenza pittorica che la Scuola di Düsseldorf aveva reso, allora, decisamente popolare in Germania. Il dogmatismo di Veit e il suo interesse per un'arte orientata al passato incontrarono l'opposizione della generazione più giovane. Un anno prima delle sue dimissioni la Scuola Städel istituì una cattedra di pittura di genere, grazie alla quale, in Germania, scene di vita quotidiana poterono entrare a far parte della tradizione pittorica accademica. Lo Städel di recente istituzione apparve a molti giovani artisti come un luogo allettante in cui esporre le proprie opere. L'autogestione cittadina dell'Istituto prometteva un clima liberale nonostante le rigide convinzioni del suo direttore; inoltre, la ricca città tedesca attraeva con i suoi incarichi pubblici e i suoi mecenati. Lo Städel era il cuore della vita culturale di Francoforte, una città commerciale che divenne, insieme alle città che ospitavano la corte (Monaco, Dresda, Berlino e Düsseldorf), anche il primo centro culturale borghese in Germania.

Insediamento alle porte della città
Nel 1840 Johann David Passavant assunse l'incarico di soprintendente dello Städel11. Amico d'infanzia di Franz Pforr, Passavant si era dapprima formato come pittore in Francia presso il classicista Jacques-Louis David unendosi successivamente, a Roma, al gruppo dei Nazareni, ma in seguito aveva progressivamente abbandonato la pittura per dedicarsi alla storia dell'arte. Già nel 1820 aveva pubblicato i suoi primi scritti di critica, a cui fecero seguito numerose altre pubblicazioni. Con il suo arrivo allo Städel ebbe inizio sia una catalogazione scientifica delle opere sia una strutturazione sistematica della collezione che, nei suoi tratti fondamentali, è tuttora diffusa nei musei, ma che allora rappresentava un'assoluta novità. Passavant decise per l'acquisto di opere di grandi maestri del passato, per esempio di Sandro Botticelli, Albrecht Dürer o Jan van Eyck, ma acquistò anche opere d'arte contemporanea. Sul piano storico-artistico fu significativa la visita del pittore francese Gustave Courbet, all'epoca già famoso, che arrivò a Francoforte nel settembre del 1858 e vi soggiornò sei mesi, accolto con entusiasmo dagli ambienti artistici; al pittore Jakob Becker, professore alla Scuola Städel, mise a disposizione un atelier. Proprio in quel periodo Courbet realizzò dodici quadri, tra cui Veduta di Francoforte con il vecchio ponte da Sachsenhaussen e diede importanti impulsi soprattutto ai giovani artisti che gravitavano nella regione. La collezione dello Städel crebbe costantemente, tanto che si rese necessario un trasferimento. Sotto la nuova direzione, nel 1878, traslocò sull'altra riva del Meno, dove a quel tempo si trovavano le porte della città, in quella nuova costruzione rappresentativa che ancora oggi ospita la raccolta. Con grandi sale dotate di lucernari, gabinetti e una biblioteca, l'edificio concepito da Oscar Sommer soddisfaceva i più moderni requisiti di un museo. Grazie alla sua attività di docente di architettura all'Istituto d'Arte Städel, l'architetto e allievo del maestro Gottfried Semper conosceva perfettamente le esigenze dell'istituzione. Il «sontuoso palazzo », come lo definì lo studioso d'arte Jacob Burckhardt, non incontrò tuttavia soltanto approvazioni. Il simbolista francese Joris-Karl Huysmans, in occasione di una sua visita nel 1905, non si mostrò tanto colpito dall'architettura quanto piuttosto dalla qualità della collezione: «E qui lungo il fiume sono raccolte opere meravigliose in un edificio costruito in stile ufficiale, la cui bruttezza non è attenuata dalla misera decorazione di un nuovo giardino». Molte di queste «opere meravigliose» erano arrivate al museo tramite donazioni: la Ritratto di donna romana in tunica bianca e manto rosso di Anselm Feuerbach era un dono della vedova del giudice onorario di Francoforte Franz Edouard Souchay; il Paesaggio greco a Egina di Carl Anton Rottmann era frutto di una eredità; il Ritratto di donna su un tetto di Roma di Max Klinger, Al Caffé d'Harcourt a Parigi di Henri-Jacques Evenepoel e Il guardiacaccia di Fernand Khnopff furono donati alla collezione dalla madre di Walther Rathenau in memoria del figlio, il ministro degli Affari Esteri della Repubblica di Weimar ucciso in un attentato. Circa un terzo delle opere dello Städel erano quindi donazioni, espressione dello strettissimo legame dei cittadini con il loro museo. Per rafforzare il sostegno dello Städel e aprire ulteriormente il museo al pubblico, nel 1899 venne fondata l'Associazione dello Städel Museum. Creata su proposta dell'editore Leopold Sonnemann, ispirandosi al modello di altre associazioni vicine al museo, l'Associazione dello Städel Museum divenne rapidamente un importante forum e partner per l'Istituto, al cui impegno lo Städel deve numerose magnifiche opere. Già nel 1905 la "Frankfurter Zeitung" scrisse: «Ogni visitatore della galleria che non disprezzi l'arte moderna sarà grato a quest'Associazione, che nei pochi anni della sua esistenza ha già così felicemente appoggiato l'Amministrazione dell'Istituto».

Lo sguardo rivolto alla Francia
In occasione della fondazione dell'Associazione, il mercante e consigliere comunale Viktor Mössinger donò allo Städel l'opera Rive della Senna in autunno di Alfred Sisley, uno dei primi dipinti impressionisti a venir esposto in un museo pubblico tedesco. Il mercante sostenne lo Städel anche in un altro sensazionale acquisto: su richiesta del direttore Georg Swarzenski, nel 1916 si fece carico del finanziamento del Ritratto del Dr. Gachet di Vincent van. Il ritratto, realizzato nel 1890 subito prima del suicidio dell'artista ad Auvers, segnava, nella collezione Städel, il punto di contatto tra l'arte del XIX secolo e l'arte moderna. L'acquisto fu dibattuto: gli esperti non erano tutti concordi sul fatto che i musei tedeschi dovessero comprare opere di impressionisti e postimpressionisti. Un anno prima, l'acquisto del Campo di papaveri di van Gogh per la Kunsthalle di Brema aveva scatenato una vivace controversia. Queste opere non erano soltanto troppo costose, ma anche prive di contenuto: era questo il rimprovero avanzato da molti artisti tedeschi che si vedevano svantaggiati a causa di tali acquisti: «Dinnanzi alla grande invasione dell'arte francese che da alcuni anni si sta compiendo negli ambienti artistici tedeschi cosiddetti progressisti, mi sembra una necessità imperiosa che gli artisti tedeschi alzino la loro voce ammonitrice senza temere l'obiezione che a spingerli sia solo l'invidia». A questa lettera di protesta, redatta dal paesaggista della Germania del Nord Carl Vinnen, era acclusa una lista lunga molte pagine con le firme di diversi artisti tedeschi. Tra coloro che, nello stesso anno, si opposero pubblicamente a questo atteggiamento con un'appassionata difesa dell'arte francese, si annovera il direttore dello Städel, Georg Swarzenski. In un articolo per la "Frankfurter Zeitung" egli scrisse: «Per quanto concerne ora la pittura francese del XIX secolo, non v'è alcun dubbio che i suoi grandi maestri abbiano creato opere appartenenti a quella massima categoria in cui il mondo e i fenomeni sono rappresentati creativamente in un modo nuovo e di per sé perfetto. [...] È pertanto ovvio che ogni museo consapevole dei propri alti compiti culturali sia felice di poter acquisire simili opere». Swarzenski, che diresse il museo dal 1906 al 1938, veniva da Berlino, dove aveva precedentemente lavorato come assistente del direttore al Kunstgewerbemuseum. All'epoca della controversia l'arte impressionista in Germania aveva già numerosi sostenitori tra gli storici dell'arte, i collezionisti e il pubblico. Il centro da cui si era sviluppato questo movimento artistico in Germania era Berlino; riviste d'arte come "Pan" e diverse gallerie della capitale promuovevano attivamente questo interesse. Già prima dell'inizio del nuovo secolo il direttore della Nationalgalerie di Berlino, Hugo von Tschudi, aveva avviato l'acquisto sistematico di pittura impressionista. A Francoforte e nella maggior parte delle altre città tedesche questa apertura e questo apprezzamento verso l'Impressionismo si svilupparono solo più tardi. A Francoforte fu nella galleria d'arte moderna di Marie Held che, nel 1908 e 1910, si poterono vedere per la prima volta, oltre a opere di Honoré Daumier, Max Liebermann e Paul Cézanne, anche lavori di Vincent van Gogh. Con la presentazione di ottantadue opere di questo artista, nel 1908 anche l'Associazione Artistica offrì al pubblico di Francoforte l'opportunità di confrontarsi intensamente con la sua arte. Negli anni successivi, nelle gallerie di Francoforte vennero esposte opere di Paul Gauguin, Adolphe Monticelli e Pierre-Auguste Renoir. Questa intensa attività espositiva di arte francese trovò corrispondenza in numerose collezioni private della regione di Francoforte. Poco stupisce che queste, incluso lo Städel, stabilissero priorità del tutto analoghe: vennero acquistati quadri della Scuola di Barbizon, di Claude Monet, Edouard Manet, Pierre-Auguste Renoir e Vincent van Gogh. Così lo Städel fu uno dei primi musei in Germania in cui poter ammirare un gran numero di opere di impressionisti francesi, molte delle quali erano lavori giovanili. I dipinti allora contemporanei, o della generazione di pittori parigini più giovani e radicali, come ad esempio Pierre Bonnard o Pablo Picasso, in Germania si trovavano soltanto in alcune collezioni private e vennero più volte offerti in vendita anche allo Städel. Tuttavia, benché Swarzenski consigliasse ai collezionisti l'acquisto di tali opere, per lo più si rifiutò di comprarle poiché, secondo la convinzione dell'epoca, per essere esposto in un museo un dipinto doveva prima essersi affermato dinnanzi alla storia: «A differenza delle esposizioni d'arte, il museo offre all'opera artistica una sede duratura e ciò può essere concesso soltanto ad un'opera veramente affermatasi, che incarni un valore eterno». Se durante tutto il XIX secolo, per l'acquisto di opere contemporanee, lo Städel si era rivolto principalmente all'arte tedesca, Swarzenski cominciò ad aprire la collezione in modo mirato anche all'arte francese del XIX secolo. Già nei primi anni della sua direzione lo Städel acquistò due quadri di Gustave Courbet e la Casa di campagna presso Nuenen (La Chaumière) di van Gogh, che come opera giovanile non presenta tuttavia la radicalità delle opere più tarde. Nell'arco di alcuni anni seguirono Dopo la colazione e La lettrice di Pierre-Auguste Renoir nonché Musicisti dell'orchestra di Edgar Degas, La colazione di Claude Monet, un'opera fondamentale della sua arte pre-impressionista, e La partita di cricket di Edouard Manet. L'acquisizione di opere pittoriche francesi incluse anche i precursori degli impressionisti: vennero acquistati ed esposti assieme all'arte tedesca la Fantasia araba di Eugène Delacroix così come i dipinti di Jean-Baptiste Corot Veduta di Marino (di mattina), Paesaggio d'estate, Ritratto di ragazza italiana e il dipinto in grande formato di Charles Daubigny Il frutteto. A differenza della maggior parte degli altri musei tedeschi, l'arte francese non veniva presentata in sale separate, ma era esposta come parte integrante di una storia dell'arte comune. Questi acquisti, non soltanto estremamente numerosi ma anche costosi, furono possibili grazie al sostegno dell'Amministrazione, dell'Associazione del Museo, delle istituzioni della città, nonché di numerosi cittadini privati. Particolarmente determinante per lo Städel fu il lascito del cittadino di Worms Ludwig Josef Pfungst che nel 1907 donò la sua collezione e il suo patrimonio di oltre due milioni di marchi alla città di Francoforte, a condizione che con esso venissero acquistate opere di artisti viventi. Fu così fondata la Galleria Civica, concepita fin dall'inizio come integrazione dello Städel e guidata dallo stesso direttore. Questa istituzione cittadina doveva raccogliere in prima linea opere di artisti locali, per cui «la produzione locale non aveva da temere la prova di forza di un confronto con le celebrità internazionali». Una così chiara dichiarazione pubblica, da parte di una città, per promuovere con forza l'arte contemporanea era, allora, completamente innovativa. E oggi? Sarebbe mai pensabile che una città si adoperi con tale vigore per promuovere l'arte dei giovani artisti a livello internazionale? Fu subito chiaro che il museo, in futuro, avrebbe avuto bisogno di più spazio. Dopo un concorso bandito nel 1912 si decise di collocare dietro l'edificio già esistente una struttura a due piani a esso parallela, la cosiddetta 'ala del giardino'. Lo scoppio della Prima guerra mondiale ne ritardò tuttavia la realizzazione: «Per anni rimase soltanto la costruzione grezza e il giardino non ancora risistemato fu utilizzato come orto». Soltanto nel maggio del 1921 poté essere inaugurata l'ala del giardino che tuttora ospita la collezione del XIX secolo e della modernità classica. 

Ascesa e proscrizione dell'arte moderna
Le difficoltà economiche conseguenti alla Prima guerra mondiale comportarono ristrettezze finanziarie anche per lo Städel, per cui il numero delle acquisizioni diminuì fortemente. Nel discorso inaugurale della nuova ala, Swarzenski illustrò la sua concezione di museo moderno, in cui contavano più l'impatto estetico-sensoriale e il piacere dell'osservatore che la diretta trasmissione del sapere: «Qui c'è in fondo soltanto un principio, soltanto un programma, soltanto una pretesa, ossia che una collezione abbia il valore di esperienza artistica, che irradi forze artistiche e che quest'esperienza artistica sia la più pura e intensa, la più ricca possibile e immaginabile ». Con una simile concezione, che si basava sulla contemplazione diretta dell'opera e che poneva al primo posto l'esperienza diretta dell'osservatore, l'arte sensoriale dell'Impressionismo, così come l'arte contemporanea talvolta provocatoria, andava a pennello. Il direttore si adoperò, quindi, con determinazione anche per l'acquisto di opere d'arte contemporanea. Il museo non doveva, come affermava Swarzenski, «spaventarsi se la sua posizione comportava per lui degli attacchi. Non dobbiamo nemmeno spaventarci dinnanzi a ciò che è problematico in un settore così intellettuale, poiché come lo è la creazione artistica, molte, anzi il più delle cose, sono problematiche. Pertanto non possiamo far altro che sforzarci di considerare la creazione di oggi con la stessa critica e lo stesso amore della creazione di ieri». All'indomani della fine della guerra lo Städel acquistò direttamente dal suo atelier alcuni dei primi dipinti di Max Beckmann, residente a Francoforte, costituendo così un'ampia collezione di opere dell'artista. Beckmann, che rivestiva una posizione di spicco nella vita sociale della città e che insegnava dal 1925 alla Scuola Städel, era legato a Swarzenski da una stretta amicizia. Nel dipinto Doppio ritratto, accanto alla moglie del direttore, Marie, l'artista colloca l'amante di Swarzenski, Carola Netter, che in seguito avrebbe lavorato come assistente allo Städel. Per realizzare l'opera Beckmann invitò le due donne separatamente nel suo atelier. Conoscendo i retroscena della vicenda si riesce a cogliere l'atmosfera stranamente tesa che caratterizza il dipinto e l'atteggiamento distanziato delle due donne, pur molto vicine fisicamente. Beckmann con quest'opera ben espresse l'ironia, talvolta estrosa, che lo caratterizzava. Oltre che con i lavori di Beckmann la collezione della Galleria Civica fu ben presto arricchita con importanti dipinti del gruppo di artisti "Die Brücke". Nel 1919 vennero acquistati due quadri di Ernst Ludwig Kirchner: lo Städel fu così il primo museo in assoluto a possedere opere di questo espressionista. Vennero inseriti nella collezione anche quadri di Erich Heckel, Emil Nolde, Karl Schmidt-Rottluff, Max Pechstein, Kees van Dongen o Franz Marc e Henri Matisse. Da uno sguardo retrospettivo risulta una netta presa di posizione a favore dell'Espressionismo tedesco, mentre trovano scarsa considerazione altri movimenti allora emergenti nell'arte contemporanea. Nella collezione, infatti, non erano presenti opere rappresentative della Nuova Oggettività, del Costruttivismo o del Surrealismo. Malgrado questo, lo Städel era allora uno dei musei in Germania che si interessavano più apertamente di arte contemporanea. In questo contesto, si può quindi dedurre l'importanza che poteva rivestire negli anni Venti, non solo per la città di Francoforte, ma anche ben oltre i suoi confini. Le visite dello «Städel Museum di Swarzenski a Francoforte », scriveva il poeta e scrittore tedesco di successo Carl Zuckmayer nelle sue memorie, «erano per noi più di esperienze istruttive, erano viaggi nell'ignoto e nel meraviglioso».   Con la presa del potere dei nazisti, nel 1933, questo periodo d'oro trovò una brusca e tragica fine. Le opere d'arte moderna, inizialmente, furono relegate in un deposito e, quattro anni dopo, quelle più rilevanti furono sottratte al museo. I nazisti ordinarono il sequestro di settantasette dipinti e cinquecentosettantacinque fra disegni a mano e opere grafiche, nonché di tre sculture, bollate come 'arte degenerata'. Alcune opere vennero esposte nella famigerata mostra-tribunale della Fema intitolata 'Arte Degenerata', inaugurata a Monaco nel 1937, e itinerante poi per tre anni attraverso la Germania. Nonostante le autorità tentassero già nel 1933 di licenziare Swarenski per le sue origini ebree, e in quanto fautore dell'arte moderna, l'Amministrazione dello Städel, in virtù della sua indipendenza istituzionale, riuscì a mantenere in carica il direttore fino al 1937, anno del suo licenziamento. A essere licenziato non fu soltanto Swarzenski, ma anche il direttore della Scuola Städel Fritz Wichert e rinomati professori del calibro di Max Beckmann. Mentre Swarzenski riuscì a emigrare negli Stati Uniti e a proseguire il suo lavoro al Museum of Fine Arts di Boston, Beckmann andò in esilio ad Amsterdam. Anche Fritz Wichert lasciò Francoforte e trovò una nuova patria sull'isola di Sylt, nel Mare del Nord. L'Associazione del Museo, in cui si erano impegnati tanti intellettuali ebrei appartenenti alla borghesia della città, perse, almeno per il momento, la sua grande importanza. Le opere confiscate, che godevano di interesse sul mercato dell'arte internazionale, vennero in alcuni casi svendute a prezzi stracciati, mentre altre opere furono addirittura distrutte. Tra queste figuravano dipinti di artisti tedeschi come Max Beckmann, Ernst Ludwig Kirchner e Franz Marc, nonché lavori fondamentali di Pablo Picasso, Marc Chagall, Edvard Munch, Henri Matisse, Paul Gauguin o Vincent van Gogh. La Galleria Civica cessò praticamente di esistere come collezione d'arte moderna. Il museo aveva perduto tutte le importanti opere contemporanee; il sogno di un museo moderno e rivolto al futuro era, per il momento, andato in fumo. Il Ritratto del Dr. Gachet di van Gogh, scampato al primo sequestro indetto per la mostra 'Arte Degenerata', nel dicembre 1937 fu preteso dai nazisti. Mentre le opere giovanili di van Gogh ospitate allo Städel non suscitavano interesse, il generale feldmaresciallo Hermann Göring, uno dei politici di primo piano del Terzo Reich e incallito collezionista d'arte, si assicurò il ritratto barattandolo con dipinti di antichi maestri. Oggi, allo Städel, solo una cornice vuota e una radiografia del dipinto testimoniano il passato del Dr. Gachet a Francoforte.

Periodo bellico e nuovo inizio
Dopo che, nel 1937, dovette rinunciare al suo incarico di direttore, Swarzenski consigliò come suo successore Ernst Holzinger, che diresse il museo fino alla sua morte, nel 1972. Lo storico dell'arte aveva concluso il suo dottorato di ricerca con Heinrich Wölfflin con una tesi sulle xilografie di Albrecht Dürer. Uno dei principali compiti del nuovo direttore fu l'organizzazione del trasferimento del patrimonio della collezione. Dinnanzi al profilarsi del rischio di una guerra, dal 1938 si decise di mettere al riparo le opere in luoghi al sicuro nei dintorni di Francoforte. L'attività della collezione fu limitata alla pittura tedesca della seconda metà del XIX secolo. Holzinger si recò più volte in Francia e in Olanda su incarico dell'amministrazione cittadina per acquistare opere presenti sul mercato nelle zone occupate, che furono poi restituite dopo la guerra28. Durante la sua carica di direttore redasse perizie sul 'patrimonio artistico' che gli ebrei deportati o emigrati furono costretti ad abbandonare nei loro appartamenti. Ben-ché come direttore dello Städel fosse molto esposto, durante il nazismo Holzinger si impegnò a favore della raccolta di arte espressionista di Carl Hagemann, uno dei principali collezionisti d'arte e mecenati tedeschi dell'inizio del XX secolo. Il collezionista di Francoforte aveva perso la vita in un incidente stradale: il rischio che la sua collezione di 'arte degenerata' non sopravvivesse alla guerra era reale. Doris Schmidt, un'ex collaboratrice di Holzinger, nel 1974 ricordò in un articolo di giornale come il direttore dello Städel avesse messo al riparo le opere «di nascosto, di sera e di notte, munito di zaino e carriola, dapprima nel suo museo allora già vuoto e in seguito in un luogo sicuro fuori Francoforte». In segno di gratitudine per l'impegno, dopo la guerra gli eredi di Carl Hagemann donarono allo Städel tutti i disegni e le stampe e cedettero al museo numerosi dipinti come prestiti permanenti. Un legame, quello di Holzinger con Hagemann, e un impegno, quello del direttore, i cui frutti si raccolgono ancora oggi: le opere espressioniste della collezione Hagemann, tra cui lavori fondamentali di Ernst Ludwig Kirchner, August Macke, Emil Nolde e Karl Schmidt- Rottluff, alla fine della guerra hanno costituito il nucleo fondante del nuovo allestimento della Galleria del XX secolo. Durante la guerra il museo era stato massicciamente danneggiato dai bombardamenti. La ricostruzione si protrasse fino a metà degli anni Sessanta. L'ala laterale e la scala, andate distrutte, vennero riedificate. Più pesanti delle distruzioni furono tuttavia le perdite arrecate al museo dai nazisti con le loro confische. Nel dopoguerra la situazione in cui versavano le istituzioni artistiche tedesche era precaria non soltanto a Francoforte: da un lato si dovevano colmare, laddove possibile, i vuoti creati nel periodo nazista, dall'altro non si poteva, e non si doveva, trascurare il presente per concentrarsi unicamente sul passato. Holzinger, che era membro del Comitato principale della Documenta, tra il 1948 e il 1966 riuscì a restituire alla collezione almeno sei delle opere sequestrate, tra cui opere di grande rilievo come Cane accucciato sulla neve di Franz Marc e Paesaggio dell'Holstein di Erich Heckel. Si aggiunsero poi numerosi ulteriori acquisizioni, proprio nella sezione della modernità classica. In questo contesto riveste una straordinaria importanza il Ritratto di Fernande Olivier di Pablo Picasso, acquistato nel 1967 con l'aiuto dell'Associazione del Museo. L'acquisto del ritratto cubista del 1909 venne concepito come una sorta di 'reminescenza' del Ritratto del Dr. Gachet di van Gogh. Oltre ad analogie formali, le due opere sono accomunate non solo dalla tensione tra figurazione e astrazione, ma anche dell'interrogativo sul ruolo che l'individuo esercita nell'arte. Così come il dipinto di van Gogh segnava il punto di contatto tra arte antica e moderna nella collezione dello Städel, il ritratto di Picasso, con le sue fratture e i suoi incastri, introduceva la Galleria del XX secolo. Al radicale innovatore del tardo XIX secolo succedeva Picasso, che ha influenzato come nessun altro artista la produzione della prima metà del XX secolo.

(Felix Krämer, curatore della mostra)