Le sezioni della mostra

Calder

Come opera d’apertura, collocata nella Rotonda centrale del Palazzo delle Esposizioni, il visitatore ammirerà l’imponente Pittsburgh; il mobile è circondato da quattro piccole maquette, i modelli dai quali venivano ricavate le sculture monumentali. Tra gli altri, il modello per Teodelapio, scultura commissionata all’artista per il Festival dei Due Mondi di Spoleto del 1962. Quest’opera costituisce non solo uno dei pochi esempi contemporanei di scultura monumentale in Italia ma è anche il primo lavoro progettato per ravvivare e trasformare completamente un ampio spazio pubblico ed è molto significativa nel percorso artistico di Calder.

Nella prima sezione si va dalle sculture degli esordi, Dog e Duck (1909), realizzate all’età di undici anni, ai primi dipinti e alle vivaci illustrazioni di animali realizzate all’inizio degli anni Venti, quando era allievo della scuola d’arte di New York. Nel 1926 Calder si trasferì a Parigi ed entrò a far parte dell’esuberante comunità degli artisti d’avanguardia. Poco dopo il suo arrivo nella capitale francese, l’artista inventò le wire sculptures, sculture in fil di ferro, un modo del tutto nuovo di descrivere con una sola linea lo spazio tridimensionale. In questa sezione troviamo la più grande scultura del genere, Romulus and Remus (1928), un ingegnoso ritratto dei fondatori di Roma allattati da una lupa in filo metallico e fermaporte di legno, esposto nella capitale per la prima volta.
Nella seconda sezione vari esempi della fase successiva della carriera artistica di Calder, la più innovativa: il passaggio dal figurativo all’arte astratta e l’invenzione dei mobile. Nelle prime costruzioni astratte, le linee espressive delle wire sculptures si trasformano in definizioni di pura energia. Le primissime opere di questo tipo – un gruppo di dipinti a olio raramente accessibili al grande pubblico – mostrano la sua abilità nel tradurre l’energia in colore e forma. Il pezzo forte della sezione è il rivoluzionario Small Sphere and Heavy Sphere (1932-1933), il primo mobile progettato per essere sospeso al soffitto. Sorprendente dimostrazione della forza di gravità e delle variazioni del moto, l’opera somiglia molto a una performance: spingendo delicatamente la sfera più pesante, si attiva l’oscillazione di quella più piccola che nella sua traiettoria imprevedibile potrebbe colpire gli oggetti disposti sul pavimento. Lo spazio ospita anche lo splendido Untitled (1932 c.) largo quasi quattro metri, un incantevole e precoce esempio dell’abilità di Calder di coniugare monumentalità e grazia.
Entrando nella terza sezione ci si inoltra negli anni Trenta, durante i quali la natura performativa di Small Sphere and Heavy Spere si estende ad altre opere, quali White Panel (1936) e Red Panel (1938 c.), in cui gli oggetti astratti in primo piano agiscono sullo sfondo di solidi pannelli colorati. Molti dei lavori di questo periodo, con le loro immagini naturalistiche portate all’eccesso, testimoniano la simpatia con cui Calder guardava al Surrealismo. In questa sezione si può ammirare anche una raccolta di opere di gioielleria: testimonianze di uno stile personale accuratamente realizzate a mano dall’artista, costituiscono il lato più intimo dell’opera di Calder, infatti per la maggior parte furono create per amici o familiari.
Nella quarta sezione sono esposti lavori di dimensioni sorprendentemente grandi accanto a poetiche gouache o a mobile dal movimento delicato, ad illustrare la vasta gamma della produzione creativa di Calder. I dipinti e le sculture si completano l’un l’altro: le ritmiche melodie dei mobile trovano eco nei colori e nelle forme delle tele.
Nella quinta sezione sono raccolti numerosi lavori degli anni Quaranta, tra i quali varie Costellazioni, costruzioni aperte in cui singoli fili metallici collegano piccoli elementi di legno. Accanto alle opere più note e tipiche di Calder, come Spider, in questo spazio troviamo anche Tree (1941) e Scarlet Digitals (1945), esposte per la prima volta dai lontani anni Quaranta. Nella prima osserviamo un elegante trattamento del contrasto fra i delicati elementi in vetro e la robusta base simile a un tronco; l’altra presenta complessi e affascinanti gruppi di movimento armonizzati in un’unica composizione.
I pezzi centrali della sesta sezione sono Parasite (1947) e Blue Feather (1948 c.), due incantevoli esempi dell’abilità di Calder di sviluppare complessi sistemi di movimento ed equilibrio. Le Towers, mobile appesi al muro, sono una testimonianza dell’uso del filo metallico per scolpire lo spazio, mentre le coloratissime gouache, tutte realizzate a Parigi subito dopo la Seconda guerra mondiale e raramente esposte, esemplificano la creatività dell’artista nello spazio a due dimensioni.
La settima sezione ospita Glass Fish (1955), elegante esempio dei rari pesci di vetro realizzati dall’artista, i cui corpi costituiti da luccicanti frammenti di vetro ispirano la contemplazione della luce e del movimento. La giustapposizione di mobile e bronzi sottolinea le rispettive contraddizioni: nei primi il senso di effervescente leggerezza è bilanciato dal progressivo percorso discendente dei loro componenti che ne sottolinea la pesantezza; i bronzi invece trasmettono un’idea di solidità incatenata al suolo e al tempo stesso una tendenza a sfidare la forza di gravità.